Perché si vota anticipatamente?
Le elezioni legislative in Groenlandia si terranno il prossimo 6 aprile. Sull’isola più grande del mondo si è reso necessario il ricorso al voto anticipato dopo l’uscita dei Democratici (Demokraatit, social-liberali unionisti) dal governo di coalizione con Avanti (Siumut, socialdemocratici indipendentisti) e i Discendenti della Nostra Terra (Nunatta Qitornai, populisti indipendentisti). Il premier Kim Kielsen (Avanti) ha fallito nel tentativo di formare un nuovo governo, così il Parlamento ha votato per una snap election.
L’assemblea legislativa della Groenlandia (Inatsisartut o Landsting) si è rinnovata l’ultima volta nel 2018. In questa tornata i partiti storici e più rappresentativi, Avanti e Comunità Inuit (Inuit Ataqatigiit, socialisti indipendentisti), hanno perso rispettivamente 2 e 3 seggi. Sono cresciute formazioni minori come i Democratici e il Punto di Orientamento (Partii Naleraq, centristi). Per la prima volta, inoltre, hanno fatto il loro ingresso nel Landsting il Partito della Cooperazione (Suleqatigiissitsisut, centrodestra) e Nunatta Qitornai.
I temi della campagna elettorale
Perché è stato necessario sciogliere l’Inatsisartut? Lo scorso novembre il primo ministro Kielsen ha perso le primarie per la leadership del Siumut in favore di Erik Jensen. La coabitazione tra i due si è rivelata burrascosa e tra i motivi che hanno portato uno dei partner di governo ad abbandonare la maggioranza c’è sicuramente la controversia relativa all’apertura della miniera di Kvanefjeld.
Situata a sud della capitale Nuuk, la cava è una delle maggiori risorse mondiali di uranio e terre rare. Queste ultime sono elementi chimici utilizzati per numerose applicazioni tecnologiche civili e militari. Le preoccupazioni per un eccessivo sfruttamento della miniera e per le conseguenze ambientali connesse all’attività estrattiva hanno condotto l’isola del Regno di Danimarca ad una crisi politica. Pechino e Washington osservano con attenzione l’evolversi della situazione. Fra i proprietari della cava, infatti, c’è la società cinese Shenghe Resources. Non a caso nel 2019 l’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump lanciò la provocazione di voler comprare la Groenlandia. È dunque sotto gli occhi di tutti che la nazione artica stia diventando un elemento di scontro geopolitico per la presenza di importanti giacimenti di minerali come scandio, ittrio e lantanio.
I leader in campo
I principali sfidanti che si confronteranno il 6 aprile sono:
Erik Jensen: nuovo leader di Avanti, partito di maggioranza relativa, è il ministro uscente del Lavoro e delle Risorse minerarie del governo Kielsen. Rispetto al suo primo ministro è a favore di una più rapida separazione dalla Danimarca. È disponibile ad instaurare rapporti commerciali con Cina e Stati Uniti, tra i quali rientra anche la questione della miniera di Kvanefjeld. Rispetto a Kielsen, però, intende coinvolgere maggiormente i cittadini riguardo al progetto estrattivo. Jensen auspica, infine, che il governo groenlandese acquisisca competenze esclusive come la politica estera, il commercio e l’immigrazione, al momento in carico a Copenaghen.
Múte Bourup Egede: 34 anni, dal 2018 guida il partito della comunità Inuit e dal 2015 è membro del Landsting. Socialista, è un forte promotore dell’indipendenza della Groenlandia. Diversamente dagli avversari di Siumut, il partito dei nativi si è schierato nettamente contro l’apertura della miniera. A preoccupare gli Inuit non sono solo i rischi per la natura: il fatto che dietro gli scavi ci siano imprenditori stranieri non è visto di buon occhio dalla popolazione locale.
Jens-Frederik Nielsen: classe 1991, è un campione di badminton e presidente dei Demokraatit. Nel 2020 ha fatto parte del governo Kielsen con delega alle Materie prime. Si è impegnato a non introdurre nuove tasse ed è favorevole al progetto minerario di Kvanefjeld. Uno dei punti principali del suo programma è la riduzione delle imposte per le imprese. A questo si aggiungono la costruzione di nuovi aeroporti per incrementare il turismo e le esportazioni verso l’estero.
Il sistema elettorale
L’isola artica si governa da sola dal 1979 e il sovrano della Danimarca, capo di Stato della Groenlandia, è rappresentato da un Alto Commissario di sua nomina. La politica della Groenlandia si svolge in un contesto di democrazia rappresentativa parlamentare sotto dipendenza danese.
L’Inatsisartut elegge ogni 4 anni i propri 31 membri con una legge elettorale proporzionale. I collegi sono plurinominali a lista aperta e i seggi assegnati attraverso l’utilizzo del metodo d’Hondt. Durante le elezioni parlamentari vengono eletti anche due rappresentanti per il parlamento danese (Folketing). Il primo ministro è eletto dal Parlamento per un mandato di 4 anni che coincide con la durata dell’Assemblea.
Cosa dicono gli ultimi sondaggi?
Gli ultimi sondaggi registrano un trend in crescita costante per il partito della Comunità Inuit. I nazionalisti di sinistra, che a livello europeo aderiscono all’Alleanza della Sinistra Verde Nordica, stanno appoggiando i movimenti nati dal basso e contrari all’apertura della miniera di uranio. Le loro posizioni favorevoli ad un rapido processo d’indipendenza dalla Danimarca potrebbero portare ad un’ulteriore devolution.
Staccati di quasi dieci punti invece i socialdemocratici di Avanti a causa delle divisioni interne tra capo del governo e leader del partito.
Stabili, ma in caduta rispetto al voto del 2018, i Democratici, sorpassati dal Partii Naleraq dell’ex premier Hans Enoksen.
Lottano per mantenere una rappresentanza al Landsting Solidarietà (Atassut, conservatori unionisti), il Cooperation Party e Nunatta Qitornai. Stando alle proiezioni potrebbero formarsi maggioranze a favore dell’indipendenza in grado di accelerare questo processo.
È bene ricordare che l’isola riceve sussidi danesi per circa 526 milioni di euro all’anno. Un ulteriore passo verso l’autonomia senza un progetto di rilancio complessivo potrebbe mettere a serio rischio il bilancio di Nuuk.