Le elezioni locali del 6 maggio sono giunte al termine. Fra molte riconferme e alcune (importanti) novità, il Regno Unito si appresta a cimentarsi in un nuovo percorso ad ostacoli, fatto di pressioni indipendentiste in Scozia e crepe sempre più profonde nel “Muro Rosso” Laburista.
I risultati di queste elezioni hanno lasciato l’amaro in bocca a tutti. I Laburisti sono crollati nelle loro roccaforti industriali del Nord, e rimangono forti solo nelle grandi città (ex. Manchester e Londra) e in Galles. Gli indipendentisti dell’SNP vincono nel Parlamento Scozzese (Holyrood), ma non riescono ad aggiudicarsi una maggioranza assoluta. I Conservatori festeggiano le loro ultime conquiste nel Nord, ma si ritrovano costretti ad affrontare una questione che avrebbero preferito evitare: il (possibile) Referendum sull’indipendenza della Scozia.
Crepe nel “Muro Rosso”
La geografia politica dell’Inghilterra è stata, fino ad ora, abbastanza semplice da comprendere. I Laburisti hanno sempre mantenuto il controllo delle grandi città e del cosiddetto “Muro Rosso” nel Nord (Manchester, South Yorkshire e North East), una fascia di aree industriali note per gli scontri sindacali contro il governo Conservatore di Margaret Thatcher negli anni ‘80. I Conservatori, sono invece più forti nel Sud, un’area più ricca e habitat naturale della media e grande borghesia Inglese.
Tony Blair, il leader moderato e riformista dei Laburisti, era riuscito con discreto successo a conquistare diversi seggi storicamente Conservatori al Sud abbandonando l’idea di una sinistra massimalista. Ora però la situazione si è ribaltata, e sono i Conservatori i nuovi conquistadores dei seggi Laburisti al Nord. Già alle elezioni del 2019, questo trend era emerso con il successo di Johnson.
Oggi quel successo viene riconfermato: nelle elezioni suppletive per il seggio di Hartlepool (North East, e Laburista dagli anni ‘70). Jill Mortimer vince con più del 50% dei voti: la prima donna e la prima Conservatrice in 57 anni. Una grande vittoria simbolica, su cui Johnson ha puntato tutto. Il Boris gonfiabile nel seggio di Hartlepool è diventato il simbolo di questo trionfo.
L’Effetto “Brexit” e i Laburisti
I Laburisti restano con l’amaro in bocca. Oltre ad Hartlepool, hanno infatti perso ben 8 consigli comunali, contro un guadagno di 13 per i Conservatori. Le accuse interne sono iniziate dopo i primi (deludenti) risultati. La sinistra del partito accusa il leader Laburista di avere abbandonato la loro linea politica. Di contro, Keir Starmer replica ricordando ai suoi avversari interni che sono stati loro a far cadere il partito in questo status di declino. Fra accuse, divisioni e licenziamenti (o retrocessioni) nel governo ombra di Starmer, il dilemma resta uno: perché la sinistra perde nelle sue stesse roccaforti?
La risposta è sempre la stessa dal 2016: Brexit. Anche dopo l’uscita e nonostante i tentativi di Starmer di evitare la questione, la Brexit continua a dividere il Regno Unito. La frattura tra euroscettici ed eurofili è soltanto il simbolo di altre spaccature: anziani contro giovani, città contro compagne, classe lavoratrice contro classi medio-alte. A questo aggiungete opinioni divergenti sul progressismo e l’immigrazione, e il gioco è fatto. Le nuove conquiste dei Tories sono quasi tutte concentrate in aree del Nord dove vi è un’alta percentuale di membri della classe lavoratrice, di non laureati e di euroscettici (vedi Hartlepool, dove il 70% degli elettori ha votato per l’uscita dell’Europa). Insomma, aree laburiste, convertite al Conservatorismo dopo la Brexit.
Galles e Metropoli: Kahn, Drakeford e il “Re del Nord”
Mentre Johnson festeggia per le sue vittorie, forte anche della sua campagna vaccinale, i Laburisti sorridono solo nelle grandi città, attestandosi come principale forza “urbana”. Liverpool, nonostante l’arresto dell’ex-sindaco laburista per sospetta corruzione, rimane rossa, così come anche Bristol. A Londra, Sadiq Khan festeggia la sua rielezione con circa 10 punti di distacco dal suo avversario Conservatore Bailey.
La vittoria del sindaco londinese con il 55,2% rimane sotto le aspettative dei sondaggisti che lo davano al 59-60%. Una piccola differenza che non avrebbe cambiato l’esito della partita, ma che non lo incorona come uno dei grandi vincitori all’interno del Partito. A conquistare questo titolo è infatti Andy Burnham, rieletto sindaco di Greater Manchester con il 67,3% dei voti. Burnham, anche soprannominato il “Re del Nord”, si è distinto fra i Laburisti per il suo scontro con Johnson sul tema dei ristori. La sua popolarità nella regione potrebbe renderlo il candidato più appropriato per una nuova leadership Laburista ma, per adesso, lui nega questa possibilità.
Altra consolazione per i Laburisti è il Galles, dove l’attuale “First Minister” Mark Drakeford è stato premiato per la sua gestione della Pandemia da una vittoria dei Laburisti nel Senedd (il Parlamento Gallese), senza però ottenere la maggioranza assoluta per un solo seggio. I Conservatori, benché secondi, non sono gli sconfitti di questa tornata elettorale e anzi guadagnano due seggi in più rispetto al 2016. Gli sconfitti sono gli indipendentisti di Plaid Cymru, che arrivano terzi perdendo un collegio uninominale.
In tutta l’Inghilterra, però, cresce anche un piccolo partito: I Verdi. Da sempre ai margini della politica Britannica, i Verdi non esplodono in termini di voti, ma sicuramente cominciano a farsi notare. Hanno infatti conquistato 80 consiglieri comunali, il secondo posto nelle elezioni a Bristol e il terzo nella corsa per la poltrona di Sindaco di Londra, vincendo prevalentemente fra le classi medio-alte, i giovani e i laureati.
Scozia: poche sorprese…ma di grande impatto
La Scozia è stato un altro terreno di scontro con le elezioni per il Parlamento Scozzese (Holyrood). La frattura non è stata solo fra i vari partiti, ma fra due visioni differenti e opposte sul futuro della nazione. Da un lato ci sono i nazionalisti dell’SNP di Nicola Sturgeon, attualmente alla guida della Scozia, e i Verdi, entrambi a favore dell’indipendenza e del ritorno nell’UE. Dall’altro ci sono i partiti nazionali (Conservatori, Laburisti e LibDems) di stampo unionista.
Rispetto alle percentuali delle ultime elezioni locali nel 2016, quasi tutti i partiti sono rimasti più o meno stabili. L’SNP si conferma primo partito con 3 seggi in più rispetto alle ultime elezioni, ma non conquista la maggioranza assoluta per appena un seggio. I Conservatori continuano ad essere secondi, seguendo il trend positivo iniziato dall’ex-leader dei Tories Scozzesi Ruth Davidson, appartenente all’area più progressista, europeista e moderata del partito. Restano terzi i Laburisti, confermando la loro perdita di influenza su un’area in cui erano soliti essere tra i due partiti maggiori.
Insieme ai Verdi, la Sturgeon ha dalla sua parte una maggioranza indipendentista in Parlamento di 72 voti, sotto la soglia psicologica degli 80 per un mandato “pieno” per l’indipendenza. Ciò però non cambia le cose, e la Sturgeon ha già invocato la necessità di un referendum.
Un nuovo Referendum?
No, non state avendo Déjà vu. Un referendum c’è già stato nel 2014, voluto dall’ex-First Minister Alex Salmond (oggi senza neanche un seggio in Parlamento vista la sconfitta del suo partito Alba) e conclusosi con una vittoria del “No” all’Indipendenza con circa il 55% dei voti. Allora cos’è cambiato rispetto al 2014? Semplice, di nuovo lei: la Brexit. Mentre l’Inghilterra è stata spaccata fra “Leave” e “Remain”, la Scozia ha lanciato un messaggio chiaro: noi in Europa ci siamo, e ci vogliamo restare. Il problema è che essendo parte del Regno Unito, ha dovuto seguire a malincuore la scia della Brexit. E ora in sondaggi rivelano che i risultati del Referendum risulterebbero in un testa a testa: 50-50.
Johnson ha provato a calmare gli animi, invitando la Sturgeon (e i leader di Galles e Irlanda del Nord) a degli incontri per cooperare sul tema della Pandemia. Ed è proprio la Pandemia che gli permette di guadagnare tempo, visto che anche la Sturgeon concorda sul fatto che questa emergenza deve prima passare. Resta da vedere se più avanti il referendum si farà, visto che l’approvazione dovrebbe arrivare da Londra. La Sturgeon ha però già annunciato che, contro la legge Britannica, chiederà al Parlamento Scozzese di legiferare in favore della celebrazione di un referendum e, se Johnson vorrà opporsi, dovrà andare alla Corte Suprema.
Un siparietto già visto con la questione della Catalogna in Spagna, dove il referendum è stato considerato illegale e la polizia è stata mandata a impedire che venisse celebrato. Ovviamente Johnson vuole evitare tutto questo, e sta cercando di portare avanti un approccio più morbido. Se questo non dovesse funzionare, potrebbe essere giunto il momento per “BoJo” di prepararsi ad una nuova tornata elettorale molto più incerta.