Il contesto
Hong Kong si appresta alla conclusione della sua 6° legislatura, la più lunga ad essere mai rimasta in carica dal 1998, anno dell’istituzione del moderno sistema di governo della città.
Il motivo di questa situazione eccezionale è da ricercarsi non solo nella pandemia in corso, che ha inizialmente rimandato di un anno la data delle elezioni originariamente previste per il 6 settembre 2020, ma anche in una serie di riforme fortemente volute dal governo centrale di Pechino atte al perfezionamento delle regole elettorali della regione amministrativa speciale di Hong Kong al fine di garantire un sistema in cui solo i “patrioti”, secondo la definizione cinese, governino la città.
Molti analisti politici hanno sottolineato come queste riforme, di cui parleremo nel dettaglio più avanti, abbiano di fatto ristretto le scelte per gli elettori di Hong Kong, i quali potrebbero essere spinti a boicottare in massa le elezioni di oggi. Le nuove regole imposte dal governo, infatti, diminuiscono sia la scelta per i candidati, sia il numero di seggi dedicati alle elezioni democratiche dirette.
Se prima gli abitanti della città potevano ambire ad esprimere il proprio voto per l’elezione di 40 rappresentanti ad altrettanti seggi, domani potranno farlo solamente per 20 nomine. La maggioranza dei restanti seggi al Consiglio legislativo della regione amministrativa speciale di Hong Kong (LegCo) saranno nominati esclusivamente da un organo ristretto ed esclusivo, la Commissione Elettorale: un collegio elettorale composto da 1500 membri, il quale in passato ha svolto la sola funzione dell’elezione indiretta del Chief Executive (CE) di Hong Kong (ovvero il capo del Governo).
Il timore che questi cambiamenti determinino uno squilibrio sostanziale in favore di funzionari a favore e direttamente approvati dal governo centrale di Pechino, insieme ad altre ragioni, fanno dunque presagire una tornata elettorale sostanzialmente spoglia di elettori alle urne.
Non a caso, sono molto frequenti gli appelli al boicottaggio da parte di “forze straniere o elementi anti-cinesi”, così come definiti dal governo centrale cittadino, e molti osservatori locali ed internazionali presagiscono quella che potrebbe essere la “più bassa affluenza alle urne da decenni” a questa parte.
Il clima è sicuramente molto teso ad Hong Kong. L’attuale CE, Carrie Lam, ha recentemente affermato come il “non votare sia un modo per esprimere l’approvazione del governo”, ma al contempo incoraggiare al boicottaggio delle elezioni rappresenta una nuova forma costituita di reato penale.
E mentre, per cercare di correre ai ripari, tra i più recenti sforzi del governo volti ad incrementare l’affluenza annoveriamo SMS di massa a tutti i cittadini e campagne di propaganda dell’ultimo minuto, già alcuni dei candidati pro-Pechino stanno tuttavia cercando di abbassare le aspettative per l’affluenza prevista a queste prime elezioni “patriots only”.
I candidati
A seguito degli avvenimenti degli ultimi anni, che hanno visto numerosi esponenti politici ed attivisti arrestati a causa delle nuove leggi sulla sicurezza nazionale approvate ad Hong Kong, nessun candidato appartenente al fronte pro-democrazia ha ufficializzato la propria candidatura all’odierna tornata elettorale. Molti semplicemente non sono riusciti a totalizzare abbastanza voti per poter essere nominati; altri, come la League of Social Democrats (LSD) hanno annunciato apertamente la volontà di boicottare il voto.
Per questa ragione, a correre per la nomina ai seggi riservati ad elezione diretta, sono solamente partiti dichiaratamente pro-Pechino, con pochissime eccezioni sul fronte delle nomine indipendenti.
È inoltre importante notare che, secondo le nuove regole approvate a marzo di quest’anno, condizione necessaria per poter essere candidati alle elezioni legislative è anche quella di essere nominati da un certo numero di rappresentanti della Commissione Elettorale. Per una panoramica approfondita rispetto a questo segmento vi invitiamo a consultare il link a questo sito (https://www.elections.gov.hk/legco2021/eng/brief.html).
I principali partiti del fronte pro-Pechino presentatisi alle elezioni sono: la Democratic Alliance for the Betterment and Progress of Hong Kong (DAB), partito conservatore guidato da Starry Lee; il Business and Professionals Alliance for Hong Kong (BPA), guidato da Lo Wai-kwok; il Hong Kong Federation of Trade Unions (FTU), a vocazione labourista, guidato da Stanley Ng Chau-pei; il Liberal Party (LP), partito liberal-conservatore a guida Felix Chung; il New People’s Party (NPP), conservatore, guidato da Regina Ip; il Roundtable, organizzazione politica di recente fondazione da parte di Michael Tien, dopo la sua fuoriuscita dal NPP e alla sua prima partecipazione elettorale; il Federation of Hong Kong and Kowloon Labour Unions (FLU), labour, a guida Lam Chun-sing.
Tra gli indipendenti riportiamo i nomi di Mandy Tam, Fong Lung-fei, Daryl Choi e Lau Cheuk-yu. Tutti e quattro i candidati provengono da realtà e passati pro-democratici.
Natura e funzionamento del LegCo
Per poter capire bene il meccanismo che si metterà in moto durante queste elezioni, occorre comunque spendere due parole sul sistema governativo di Hong Kong, e capire come questo è stato recentemente modificato dalle nuove disposizioni di Pechino.
Essendo una regione amministrativa speciale della nazione cinese, Hong Kong possiede un governo locale, di cui il LegCo ne è l’ente legislativo unicamerale.
Fino a quest’anno, e a partire dal 2012, il LegCo è stato composto da 70 seggi, di cui 35 eletti direttamente da parte dei cittadini, ed assegnati da 5 diverse circoscrizioni geografiche.
I restanti 35 seggi venivano assegnati alle cosiddette “circoscrizioni funzionali” (functional constituencies). Questi altro non sono che seggi riservati ed assegnati indirettamente a gruppi di interesse economico e finanziario, e possono essere occupati sia da persone fisiche che da altre entità giuridiche designate, come organizzazioni e/o corporazioni.
Tra queste, tuttavia, una speciale circoscrizione, la “District Council (Second) functional constituency”, permetteva a tutta la platea degli elettori registrati e residenti ad Hong Kong di poterne eleggere i candidati ai 5 seggi loro riservati, rendendola “de facto” una circoscrizione a suffragio universale ma svincolata da una assegnazione geografica precisa, a differenza dei seggi ad elezione diretta.
Le nuove regole di Pechino
Nel marzo di quest’anno, in risposta ai disordini che hanno caratterizzato la vita politica di Hong Kong nell’ultimo periodo, il governo locale della città ha annunciato, in seguito alla decisione di Pechino, una serie di riforme atte a modificare sia il sistema politico della regione amministrativa, sia la composizione del LegCo.
Questo sarà dunque eletto domani, per la prima volta, secondo le nuove regole imposte dal NPC, il più alto organo del potere statale e legislativo della Repubblica Popolare Cinese.
La riforma del NPC anzitutto ha previsto un aumento del numero totale dei seggi del LegCo, che passano così da 70 della precedente legislatura a 90; tuttavia, di questi nuovi seggi, solamente 20 potranno essere assegnati tramite elezioni dirette da parte dei cittadini di Hong Kong – suddivisi equamente tra le nuove 10 circoscrizioni geografiche in cui la regione della città è stata nuovamente riorganizzata.
I restanti 70 saranno così distribuiti: 30 seggi rimarranno destinati alle circoscrizioni funzionali, eliminando i 5 precedentemente riservati alla District Council (Second) functional constituency; gli ultimi 40 seggi saranno invece quelli direttamente nominati dalla Commissione Elettorale.
giallo: circoscrizioni geografiche elette direttamente; blu: circoscrizioni funzionali; verde: District Council (Second) functional constituency; rosso: nuove circoscrizioni elette dal collegio elettorale
Cosa possiamo aspettarci?
L’unico dato davvero certo ed il più importante per la tornata elettorale odierna sarà quello sull’affluenza, la quale, i sondaggi ci dicono, è destinata a scendere vertiginosamente rispetto al passato.
In una serie di interviste tenute tra il 9 ed il 14 dicembre da parte del PORI, e che ha preso in considerazione un campione di 891 individui, solo il 48% degli intervistati ha affermato che andrà “sicuramente” o “quasi certamente” a votare: un numero sensibilmente in calo rispetto al 76% di un sondaggio simile riferito alle elezioni del 2016. In crescita di 3 punti percentuali rispetto a novembre sono invece coloro che affermano che non andranno a votare “sicuramente” o “quasi certamente”, ora al 39%.
Le previsioni ci indirizzano sicuramente verso una previsione di astensionismo: starà al governo amministrativo locale cercare di ribaltare il risultato per quella che sarà la prima elezione di soli patrioti ad Hong Kong.