Come si elegge il Presidente della Repubblica: la guida al voto
Da alcune settimane si è iniziato a parlare della corsa al Quirinale: chi sarà il successore di Sergio Mattarella? La domanda agita i partiti e non solo, visto il peso politico che hanno rivestito i Presidenti della Repubblica negli ultimi anni. Ma come si elegge il nostro Capo dello Stato?
Chi è e cosa fa il Presidente della Repubblica
Il ruolo di Presidente della Repubblica è disciplinato dal Titolo II della Seconda Parte della Costituzione, con gli articoli da 83 a 91. L’articolo 84 prevede che “possa essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici”. La platea è dunque potenzialmente molto ampia, anche se nei fatti tutti gli undici uomini che hanno ricoperto la carica di Capo dello Stato erano politici o in politica avevano rivestito importanti ruoli.
I poteri del Presidente della Repubblica sono elencati negli articoli 87 e 88 della Costituzione. Tra i principali ci sono la nomina del Presidente del Consiglio e (su proposta di quest’ultimo) dei ministri, lo scioglimento delle Camere, la promulgazione delle leggi, la nomina dei senatori a vita e di cinque dei quindici giudici della Corte Costituzionale. Il suo mandato dura sette anni ed è potenzialmente rinnovabile: Giorgio Napolitano ha infatti ricoperto il ruolo per due mandati consecutivi.
Per descrivere il ruolo politico del Capo dello Stato la giurisprudenza costituzionale parla di “poteri a fisarmonica”. In un quadro politico forte e stabile, le scelte del Presidente della Repubblica sono pressoché obbligate e la sua funzione si limita a quella di garante della Costituzione e di rappresentanza dello Stato. Al contrario, in un quadro di instabilità il suo ruolo diventa fondamentale: solo per fare un esempio recente, la scelta di Mario Draghi come Presidente del Consiglio è stata compiuta da Sergio Mattarella. Precedentemente qualcosa di simile era stato fatto nel 2011 da Giorgio Napolitano, che scelse Mario Monti per succedere a Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
La possibilità di sciogliere le Camere in capo all’inquilino del Quirinale (e conseguentemente di andare o meno a elezioni anticipate) è spesso decisiva nel caso delle frequenti crisi di governo. A causa della sempre maggiore instabilità politica, gli ultimi Presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo più attivo rispetto ai loro predecessori.
Come si elegge il Presidente della Repubblica
Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune insieme ai delegati delle Regioni a scrutinio segreto. Nelle prime tre votazioni è necessaria la maggioranza dei due terzi (66.7%) dell’assemblea, mentre a partire dal quarto è sufficiente la maggioranza assoluta (50%+1).
A eleggere il successore di Sergio Mattarella saranno dunque 1009 grandi elettori: 630 deputati, 315 senatori, 6 senatori a vita e 58 delegati regionali. Questi ultimi sono tre per ogni regione, con la Valle d’Aosta che ne esprime solo uno. Sono nominati dal Consiglio Regionale. Per prassi vengono scelti il Presidente della Regione, il Presidente del Consiglio Regionale e il Vice-presidente del Consiglio Regionale, che rappresenta le opposizioni. Bisogna però evidenziare come questa non sia in alcun modo una regola, tanto che alcuni esponenti politici hanno proposto di scegliere dei sindaci come delegati regionali, per una migliore rappresentanza del territorio. Con la riforma costituzionale del 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari da 945 a 600, il peso dei 58 delegati regionali aumenterà a partire dall’elezione successiva a quella del mese prossimo.
La seduta di votazione è presieduta dal Presidente della Camera. Il voto è a scrutinio segreto: ogni grande elettore va a votare in una cabina al centro dell’emiciclo e deposita la propria scheda in un’urna chiamata informalmente “insalatiera”.
Un’operazione insidiosa
Le ampie maggioranze richieste e soprattutto il voto a scrutinio a segreto rendono l’elezione del Capo dello Stato un’operazione insidiosa per la politica. La Democrazia Cristiana, partito egemone della politica nazionale tra il 1946 e il 1994, è riuscita in soli due casi a far eleggere il proprio candidato ufficiale: Antonio Segni nel 1962 e Francesco Cossiga nel 1985. In tutte le altre votazioni i candidati DC furono affossati dai “franchi tiratori”, come accadde per esempio ad Amintore Fanfani nel 1971.
Un altro caso di bocciatura eccellente risale al 2013: l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi, scelto dal centrosinistra per il quarto scrutinio, mancò di 109 voti l’elezione al Colle. Dopo un nulla di fatto allo scrutinio successivo, Giorgio Napolitano accettò di farsi eleggere per un secondo mandato, diventando il primo e finora unico Presidente della Repubblica ad aver concesso un bis. Più sottile era stata la strategia di Giulio Andreotti nel 1992: attraverso il controllo di un manipolo di deputati democristiani intendeva “bruciare” tutte le candidature alternative alla sua nei primi scrutini, per fare in modo che si convergesse successivamente su di lui per mancanza di alternative. La notizia della strage di Capaci dopo il quindicesimo scrutinio bloccò la candidatura del Divo a causa delle ombre sui suoi rapporti con la mafia, spianando la strada del Quirinale all’allora Presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro.
Ci sono però dei casi in controtendenza, in cui i partiti sono riusciti a controllare i propri delegati e a eleggere il loro candidato di riferimento. Nel 1985 e nel 1999 maggioranza e opposizione si accordarono prima del voto e portarono al Quirinale al primo scrutinio rispettivamente Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi. Nel 2006 e nel 2015, il centrosinistra riuscì a far eleggere senza problemi Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella al quarto scrutinio, il primo in cui è sufficiente la maggioranza assoluta.
Chi succederà a Mattarella?
La prossima elezione del Capo dello Stato si preannuncia delicata. Nessuno schieramento politico ha i numeri per eleggere da solo il nuovo Presidente della Repubblica e, come ha dimostrato il voto segreto al Senato sul ddl Zan, il controllo dei partiti nei confronti dei propri delegati è tutt’altro che ferreo. Il Parlamento è stato eletto nel 2018 quando Matteo Renzi era il segretario del Partito Democratico e Luigi Di Maio era il capo politico del Movimento 5 Stelle: un’era politica fa. Rispetto ai sondaggi attuali, nelle due Camere sono sovra rappresentati il Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Italia Viva, mentre Fratelli d’Italia è uno dei gruppi più piccoli del Parlamento.
Se gli schieramenti dovessero essere compatti (e come abbiamo detto è un bel se), l’ago della bilancia dovrebbero essere i parlamentari centristi e quelli del gruppo Misto, che sono principalmente ex eletti del Movimento 5 Stelle. Per quanto riguarda i nomi è ancora presto: storicamente è però raro che i “candidati” delle settimane precedenti il voto salgano effettivamente sul colle più ambito di Roma.