Medicine Covid: la sabizabulina riduce i decessi. I primi dati
Medicine Covid: la sabizabulina riduce i decessi. I primi dati
Medicine Covid: un nuovo farmaco, inizialmente sperimentato contro alcuni forme di cancro, sta dando buoni risultati nel trattare le forme gravi della malattia causata dal Sars Cov 2. Si tratta della sabizabulina: potrebbe essere la prima molecola efficace contro le complicazioni a cui spesso vanno incontro i pazienti ricoverati in terapia intensiva.
Medicine Covid: la prima arma contro le forme gravi della malattia?
Medicine Covid: al di là dei vaccini, la ricerca scientifica sulla malattia causata dal coronavirus Sars Cov 2 ha portato a dei grossi risultati, soprattutto, rispetto al trattamento delle fasi iniziali o comunque lievi dell’infezione. Si pensi alla commercializzazione del Paxlovid, per esempio. Tuttavia, pochi risultati concreti sono stati raggiunti al momento rispetto al trattamento delle forme più gravi della patologia (nonostante le varianti di omicron causino, in generale, sintomi più leggeri, il problema legato alle terapie intensive rimane). Insomma, i medici non hanno a disposizione dei farmaci specifici per trattare i pazienti che sviluppano una sintomatologia severa.
Dunque, potrebbe rappresentare una svolta la sabizabulina, un farmaco sperimentato finora contro alcune neoplasie, cioè alcune forme di tumore, ma che sta dando buoni risultati anche contro i pazienti Covid gravi. In linea di massima, il composto sembra ridurre sensibilmente il rischio di decesso causato da polmonite nel giro di alcune settimane a partire dalla comparsa dei sintomi. D’altra parte, i dati prodotti dalla Veru – l’azienda farmaceutica che sta conducendo la sperimentazione – ancora devono essere esaminati dalla FDA americana: nel frattempo, sono stati definiti molto promettenti dal punto di vista della riduzione del tasso di decessi.
La sabizabulina riduce sensibilmente i decessi? I primi dati
Medicine Covid: molto in breve, la sabizabulina agisce sullo “scheletro” delle cellule. Indebolendolo, rende più difficile replicarsi al coronavirus: il processo infettivo quindi viene rallentato, così che l’organismo riesca a organizzare la risposta immunitaria in modo adeguato (cioè senza scatenare un attacco che spesso si rivela un’“arma a doppio taglio” per i pazienti che spesso proprio a causa dei propri meccanismi di difesa vanno incontro a complicazioni).
Gli studi condotti finora hanno coinvolto 150 volontari: questi sono stati divisi in due gruppi. A un gruppo è stato somministrato un placebo (veniva fornita assistenza in base ai protocolli ospedalieri): poco più di 50 partecipanti è morta dopo due mesi dalla comparsa dei sintomi. All’altro gruppo è stata somministrata la sabizabulina: su 98 volontari solo il 20% è andato incontro a miglioramenti. La sperimentazione ha previsto la somministrazione del farmaco – una capsula da 9 milligrammi – una volta al giorno per 21 giorni.
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