Referendum sulla giustizia, come è andata le altre volte? Alcuni dati

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Referendum sulla giustizia, come è andata le altre volte? Alcuni dati

Le previsioni di tutti gli analisti, prima dello stop ai sondaggi dicevano che il referendum sulla giustizia del 12 giugno sarebbe andato come la grande maggioranza di quelli degli ultimi 20 anni, ovvero sarebbe stato invalido per mancato raggiungimento del quorum.

Del resto è stato questo il destino della grande maggioranza delle consultazioni referendarie dalla fine degli anni ’90 in poi.

Lo vediamo nella nostra infografica. Prima di quella del 1997 solo nel 1990 un referendum era fallito per un’affluenza inferiore al 50%, era stato quello che nei suoi tre quesiti chiedeva una forte limitazione della caccia.

Dopo il 1997 l’istituto referendario è sembrato andare verso il tramonto, con una sola eccezione, le proposte del 2011, contro la privatizzazione dei servizi pubblici e soprattutto il nucleare. Andò alle urne, spinta anche da un sentimento allora anti-berlusconiano (il governo Berlusconi sarebbe caduto 5 mesi dopo), il 54,8% degli aventi diritto.

Dopo quella data se escludiamo i referendum istituzionali vi è stato solo quello contro le trivelle in mare, che però è fallito.

Il lento declino dell’affluenza

Di seguito, selezionando l’anno osserviamo la percentuale degli italiani che sono andati al voto in ogni occasione dal 1974, data del referendum sul divorzio, al 2016.

Come appare evidente i quesiti all’interno della stessa consultazione hanno visto un’affluenza sostanzialmente identica. Si potrebbe anche scegliere di ritirare solo qualche scheda e non altre, ma di fatto è qualcosa che solo pochissimi fanno.

Il record, dell’87,7%, è stato raggiunto proprio nel primo referendum, quello del 1974, in cui vince il No, e poi l’affluenza rimane, seppur declinando, sopra il il 70% anche nelle occasioni successive, nel 1978, nel 1981, nel 1985, in occasione delle consultazioni sull’aborto, sull’ergastolo, sul finanziamento ai partiti, sulla scala mobile. Si tratta in gran parte di quesiti proposti dai Radicali, o dal PCI nel caso di quello del 1985, e non passano.

Sono gli anni in cui il ruolo dei partiti è ancora molto forte. Basta un’indicazione di voto da parte di quelli di massa, DC, PCI, PSI, e i loro elettori si recano in maggioranza recati alle urne seguendo le raccomandazioni ricevute.

Nel 1987 per la prima volta vince il Sì, gli italiani scelgono di eliminare il nucleare ma anche di istituire una responsabilità civile per i giudici. Ma l’affluenza era scesa al 65,1%

Nel 1990 il primo quorum non raggiunto

Il 1990 segna l’esordio dell’epoca moderna per quanto riguarda il referendum in Italia. Per la prima volta i votanti rimangono sotto il 50%, non superano il 43% mediamente. È anche il primo segno della disaffezione dalla politica: gli elettori invece di votare no hanno preferito fare fallire la consultazione.

Vi è poi un ritorno al quorum, anche se senza raggiungere percentuali altissime, con la stagione referendaria collegata alla caduta della Prima Repubblica. Nel 1991 gli italiani approvano la preferenza unica alle elezioni e nel 1993 una serie di quesiti tra cui l’abolizione, di fatto, del sistema interamente proporzionale e di alcuni ministeri, come quello dell’agricoltura.

Nel 1995 è la volta dei referendum contro il duopolio Rai/Mediaset, dove però vince il No.

Di seguito è possibile osservare i risultati, sia delle consultazioni in cui si è raggiunto il 50% dei votanti sia di quelle in cui non si è arrivati a tale soglia

Dal 1997 cominciano i 14 anni più neri, fino al già citato 2011. I referendum sulla giustizia e su altri temi cari ai radicali di quell’anno sono quasi ignorati dagli italiani: solo il 30% va al voto. Va meglio ai proponenti dell’abolizione della quota proporzionale da Mattarellum nel 1999, il quorum viene mancato solo per lo 0,4%.

Dai referendum radicali del 2000, ancora sul proporzionale e sulla giustizia, in poi, la china è in discesa. Quell’anno l’affluenza è del 32% circa, nel 2003 nella consultazione sull’articolo 18 solo del 5,5%, come in quella del 2005 sulla fecondazione assistita.

Il minimo, 23,3%, si raggiunge con i referendum per l’abolizione del “Porcellum” nel 2009.

Ormai solo temi caldi infiammano l’elettorato, e la legge elettorale o la giustizia non sembrano tra questi.

Per tale motivo nel 2011 vi è un ritorno al successo dell’istituto referendario: i quesiti sul nucleare o l’acqua pubblica sono interpretati in chiave anti-governativa.

Il nuovo flop del 2016, invece, segna un ritorno al trend consolidato precedente. Il referendum sulla giustizia di domenica 12 bisserà tale esito?

L’infografica sotto mostra il rapporto tra affluenza ed esito del voto. Dal 2000 in poi i sì hanno sempre trionfato, ma perché la base degli elettori è minima: va a votare solo chi è a favore del quesito, i contrari usano proprio il mancato raggiungimento del quorum per affermare la propria opposizione alla proposta dei promotori della consultazione.

Il 1993, il 1987, il 1991 e il 2011 rappresentano un’eccezione: i referendum raggiungono e superano il 50% di affluenza perché vi è un’ondata di entusiasmo verso il sì. Ma sembra storia passata. Ancora più lontana è invece l’affluenza di massa per dire di no, come dal 1974 al 1985.

È ormai la preistoria della politica, un’epoca in cui l’indifferenza era una categoria quasi sconosciuta tra gli elettori.

A quale modello si avvicinerà il referendum sulla giustizia di domenica?

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