Il trattato di Lisbona, ovvero l’Europa val bene un compromesso
Il trattato di Lisbona, ovvero l’Europa val bene un compromesso
Il trattato di riforma stipulato a Lisbona nasce come un compromesso. Da un parte, l’esigenza di rendere funzionante un organismo di dimensioni colossali che esercita poteri significativi sui cinquecento milioni di cittadini europei. Dall’altra, il perdurante rifiuto di popoli e governi a dare il vita ad un’ autentica europa federale, in cui sciogliere le rispettive identità e peculiarità.
Una questione di prospettiva
Dopo la ratifica irlandese, il trattato di Lisbona sembra destinato a divenire, dal gennaio del 2010, la nuova carta fondamentale dell’Europa. Si è molto discusso sulla portata delle innovazioni che introdurrà, e sulle differenze – reali o di facciata – che lo distinguono dal progetto di costituzione naufragato con i referendum francese e olandese. Da una parte, si ricorda che per il 96% il nuovo “trattato di riforma” è testualmente identico al vecchio trattato costituzionale. Dall’altra, si sottolinea che dal testo sono scomparsi tutti i riferimenti chiaramente costituzionali: simboli, nomenclatura, struttura. E’ opportuno fare un po’ di chiarezza. I rilievi degli anti-europeisti e degli euro-entusiasti sono entrambe vere, ma trascurano probabilmente il dato fondamentale. A distinguere Lisbona dal progetto di costituzione per l’Europa è essenzialmente la sua diversa prospettiva, il suo fine ultimo, mediato: identico resta invece l’obiettivo immediato del trattato, una riforma delle istituzioni comunitarie ispirata alla semplificazione.
I pilastri dell’Unione
[ad]L’attuale struttura dell’Unione Europea, delineata dal trattato di Maastricht (1992), è stata efficacemente rappresentata come quella di un tempio greco. L’Unione comprende e coordina le numerose forme di comunità e di cooperazione intergovernativa instaurate tra i paesi europei. Il primo pilastro del tempio, primo in senso cronologico e primo per importanza, è quello comunitario. Racchiude le tre comunità originali – CECA, CEE ed EURATOM – cuore del processo di integrazione. A ciascuna delle comunità corrisponde un diverso trattato, che impone diversi obblighi reciproci ai paesi membri. Nel corso dei decenni, prima e dopo Maastricht, l’architettura del primo pilastro ha subito una radicale trasformazione: la CECA, a cui va il merito di aver istituito il primo mercato comune, del carbone e dell’acciaio, è stata formalmente sciolta nel 2002, a cinquant’anni dalla sua istituzione. La CEE, comunità economica europea, è divenuta CE, comunità europea. Le istituzioni delle tre comunità (parlamento, consiglio, commissione, corte di giustizia) sono state unificate. Con Maastricht il pilastro comunitario è stato affiancato da due settori di cooperazione intergovernativa rafforzata: uno dedicato alla politica estera e di sicurezza comune, l’altro alla cooperazione in materia di giustizia. In questi settori il Consiglio cambia veste, e si trasforma in una sorta di conferenza intergovernativa: le sue decisioni sono vincolanti per tutti, ma le decisioni rilevanti sono prese all’unanimità. Fare ordine L’esigenza di superare la separazione – divenuta ormai inspiegabile – tra Unione e Comunità è risolta dal trattato di Lisbona in modo diverso dal vecchio progetto costituzionale. L’Unione “sostituisce” la Comunità, e ad essa “succede”, ma continua ad essere retta da due trattati distinti: uno “sull’Unione Europea” (già trattato UE), un altro “sul funzionamento dell’Unione” (già trattato CE). La Costituzione Europea, al contrario, avrebbe dovuto unificare i due trattati in un unico testo, e includere in esso la Carta dei diritti fondamentali (2001), rendendola espressamente vincolante in tutti i sui contenuti. Lisbona prevede un semplice richiamo alla Carta, che rimane esterna ai trattati, ma tutt’altro che estranea all’ordinamento europeo: già da tempo la Corte di Giustizia e i tribunali nazionali hanno chiarito che il suo valore non è quello di una mera declamazione di principi. Con il nuovo trattato, tuttavia, due paesi, il Regno Unito e la Polonia, hanno ottenuto di essere esonerati dal rispetto della Carta, ritenuta uno strumento ridondante e pericoloso. Ridondante rispetto alle garanzie già previste dai loro ordinamenti, e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), al cui rispetto tutti i paesi dell’Unione (e molti altri) sono vincolati da oltre cinquant’anni. Pericoloso per la tradizione giuridica (inglese) e cultural-religiosa (polacca). Da un punto di vista formale, l’architettura dell’Unione esce certamente semplificata. Permangono tuttavia inspiegabili elementi di complessità.
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