Comuni, doppio turno e legittimazione democratica
Si è tornato a parlare, negli ultimi mesi, di riforme in materia di sistemi elettorali, in concomitanza con la presentazione di una proposta di legge (ne trovate notizia qui o qui) che mira, tra le altre cose, a modificare anche il sistema elettorale dei comuni con più di 15.000 abitanti, per far venire meno la necessità del secondo turno, qualora un candidato sindaco raggiunga al primo turno il 40% dei voti. Concentrarsi ad analizzare, in questa sede, questo aspetto della proposta, offre spunti di riflessione in materia elettorale.
La particolarità del doppio turno a due, in cui cioè accedono alla seconda votazione i primi due classificati del primo turno, come quello delle elezioni comunali italiane o delle presidenziali francesi, è quella di imporre il passaggio dalla maggioranza relativa, sufficiente nel turno unico, e a volte anche molto inferiore al 50%, a quella assoluta (50%+1 voto). Il meccanismo, peraltro, permette molto spesso agli elettori di superare le difficoltà dei rispettivi dirigenti a coalizzarsi, e di esprimere nel secondo turno un voto di area politica, con o senza apparentamento. La riforma elettorale, qualora fosse approvata, avrebbe pertanto l’effetto di far diventare pressoché la regola i sindaci eletti da una minoranza dei votanti, riducendo, di fatto, la loro legittimazione democratica, che il doppio turno a due rende invece piena.
A prescindere da chi possa favorire, aspetto che ovviamente non può neanche minimamente interessare chi si occupa della materia con sincero interesse scientifico, ma al solo fine di ampliare la legittimazione democratica delle nostre istituzioni, sarebbe forse il caso non solo di difendere il doppio turno a due per l’elezione dei sindaci, ma anche di ipotizzarne un’estensione alle elezioni politiche. Ciò permetterebbe inoltre di capire se sia effettivamente rispondente al vero un’affermazione che diversi politici e opinionisti di centro-destra tendono a ripetere abbastanza spesso, e che alcuni di loro hanno riaffacciato nel dibattito pubblico anche dopo le scorse elezioni politiche, cioè che l’Italia sia un paese storicamente, quasi geneticamente, di centro-destra.
Non è infatti il turno unico a favorire una valutazione del genere, ed avendo il centro-destra vinto le scorse politiche con il 44% dei voti, cioè con la maggioranza relativa, una simile affermazione, almeno per le scorse elezioni, appare quantomeno opinabile. Ed anzi i migliori risultati storicamente raccolti dalle forze di centro-sinistra nel doppio turno rispetto al turno unico, e la conseguente maggiore favorevolezza che il meccanismo elettorale in analisi riscuote, non da oggi ma negli ultimi 30 anni, presso le forze di centro-sinistra, rispetto alle forze di centro-destra, sembrerebbe anzi suggerire che sia più sensata l’affermazione opposta, cioè che l’Italia sia storicamente un paese di centro-sinistra. Discorso diverso è invece quello relativo alle migliori modalità per realizzare il doppio turno, che potrebbero anche non essere quelle che abbiamo conosciuto finora in Italia, ovvero la doppia votazione.
Essa, infatti, da un lato ha il pregio di rendere più chiara la scelta a due nella seconda tornata, ma dall’altro genera maggiori costi, e rischia inoltre di creare non solo fenomeni abbastanza naturali e fisiologici, come nel caso di divisioni più sensate politicamente, tra forze radicate sul territorio, o anche personalità che si facciano portatrici di precise e reali istanze di cui chiedono il riconoscimento in un programma di governo, e che al primo turno a volte scelgono legittimamente di contarsi, per poi al secondo turno far prevalere una logica di coalizione, chiedendo anche una comprensibile inclusione in giunta in caso di vittoria; ma anche altre dinamiche, di cui non si sente francamente il bisogno, e che abbiamo visto sin troppe volte nelle due settimane tra i due turni delle elezioni comunali, come nel caso in cui personaggi non di rado improvvisati, privi di reali istanze da far valere oltre all’ambizione personale, offrano l’apparentamento, sperando di portare in dote anche il pacchetto di voti raccolto al primo turno, a chi prometta loro un posto da assessore, qualora riescano a prevalere congiuntamente al secondo turno.
Potrebbe essere preferibile, invece, la modalità adottata per le comunali del Regno Unito, cioè attribuendo ai primi due classificati, qualora nessuno raggiunga con le prime preferenze la maggioranza assoluta, le seconde, terze ed eventuali ulteriori preferenze espresse, sulla stessa scheda del primo turno, da chi ha tributato la prima preferenza a candidati terzi, finché uno dei due non supera la soglia del 50%. Sistema che però avrebbe, di contro, il difetto di rendere, appunto, meno evidente la scelta a due, quasi confondendola tra molteplici preferenze. Insomma il dibattito sull’adozione di una delle due modalità non avrebbe esito scontato, ma potrebbe essere forse il caso, per una volta, di limitarci a copiare, senza timore di essere tacciati, come dire, di scarsa originalità.
Nicola Storto