Il Paese sudamericano pronto a una svolta, l’ennesima
L’Argentina è sempre stata in fondo sui generis nel panorama sudamericano e occidentale. Qui è nato il peronismo, mix di nazionalismo, sindacalismo, populismo ante litteram, socialismo associato a paternalismo. Un fenomeno politico che forse solo nell’area mediterranea europea e in particolare in Italia potremmo comprendere, essendo una parte del nostro sistema politico il meno lontano da esso, e che è stato così pervasivo in Argentina da aversi un peronismo conservatore e uno di sinistra.
Si sono alternati nel tempo, anche se ha prevalso il secondo negli ultimi decenni. A questo appartiene il presidente uscente, Alberto Fernandez, e a questo uno dei tre candidati favoriti nelle prossime elezioni che dovranno dare all’Argentina un nuovo presidente e un nuovo Parlamento, Alberto Massa, ministro dell’economia
Gli altri sono Patricia Bullrich, già ministra sotto la presidenza Macrì, tra il 2015 e il 2019, che corre per Juntos, una coalizione liberal-conservatrice che unisce quanti sono tradizionalmente opposti al peronismo, e poi Javier Milei. È lui la vera novità di queste elezioni, una figura originale persino per gli standard di un Paese che già normalmente non è nuova all’emergere di persone e forze politiche dirompenti, in cui il confine tra destra e sinistra, conservatorismo e rivoluzione è molto sfumata.
Corre per Avanza Libertad, di ispirazione libertaria e liberale, in parte però anche conservatore. Già questa è una novità per un panorama politico che è sempre stato abbastanza allergico al liberismo, visto come cavallo di Troia degli odiati americani. Milei vuole andare in direzione contraria a quella prevalente, diminuire le tasse e la spesa pubblica, eliminare o ridurre le tariffe all’importazione, che invece erano state più volte alzate per proteggere l’industria nazionale, è per il libero commercio, l’eliminazione dei sussidi, da sostituire con aiuti materiali, e dei regimi speciali regionali. Insomma, è a favore di una sorta di rivoluzione liberale che porterebbe l’Argentina in una direzione molto diversa da quella in cui è andata dal 2000 in poi
Elezioni in Argentina, cosa dicono i sondaggi
Personaggio anche controverso, soprattutto per il suo atteggiamento spesso sopra le righe e le sue affermazioni e proposte, è stato la sorpresa delle primarie di agosto. In Argentina prima delle elezioni vere e proprie, infatti, si tengono primarie in cui ognuno vota per il partito o coalizione preferito e all’interno di questa per i ticket presidenziale (presidente-vicepresidente) prescelto. Servono a determinare chi parteciperà alle consultazioni, ovvero solo le forze politiche con più dell’1,5% e per ognuna di esse il ticket più votato.
Avanza Libertad, che del resto presentava solo Milei e Villaruel, designata come vice, ha avuto il 30%, piazzandosi primo, davanti a Juntos per el Cambio, all’interno della quale ha prevalso Bullrich, con il 28,3%, e ai peronisti di Union por la Patria, in cui ha prevalso Massa, con il 27,3%.
Sono questi tre candidati, più Schiaretti, peronista non di sinistra, e Bregman, della sinistra radicale, a contendersi la presidenza. Di seguito vediamo una serie di infografiche sulle intenzioni di voto precedenti al black out dei sondaggi.
È una sfida a tre, con Milei che risulta in testa intorno al 30% in gran parte dei casi, seguito da Massa, che però è tallonato da Bullrich.
Certamente sono possibili almeno tre ballottaggi. La legge elettorale argentina prevede che se al primo turno il candidato in testa ha più del 45% non c’è bisogno di secondo turno, mentre se ha tra il 40% e il 45% è obbligatorio solo se la differenza dal secondo è minore del 10%. In questo caso, comunque, un ballottaggio è praticamente certo, e il suo esito non è scontato. Milei batterebbe Massa, ma non Bullrich, che a sua volta sconfiggerebbe Massa.
Gli indecisi sono tanti, e quando il quadro politico è nuovo fare previsioni è ancora più difficile. La presenza di Milei, infatti, le rende più ardue. È certamente il candidato favorito dai giovani e dalle regioni più periferiche e lontane da Buenos Aires, spesso quelle più povere. Dovrà contendere a Bullrich il voto di protesta contro il governo uscente che non è per nulla popolare. Solo il 17,5% approva il lavoro di Fernandez, ma almeno questa non è affatto una novità
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