Spagna, Pedro Sánchez “el Inmortal”: tutto, sul nuovo governo
Spagna, Pedro Sánchez “el Inmortal”: le chiavi per comprendere il nuovo governo
Inizia il Pedro (Sánchez) III. La Spagna trova una nuova quadra e un nuovo primo ministro dopo le elezioni del 23 luglio 2023, che lasciarono il Paese in uno stato d’incertezza.
Come si è arrivati al Sánchez III
Nonostante la vittoria dello storico partito di destra, il Partido Popular (guidato da Alberto Feijóo), i numeri in Parlamento non erano sufficienti per ottenere una maggioranza. Pesava e pesa tuttora l’estremismo di Vox, pesantemente avverso ai partiti regionalisti e indipendentisti. Feijóo, incaricato dal re Felipe VI di formare un governo, non è riuscito nel difficilissimo tentativo di trovare una maggioranza e ricevere l’appoggio della Camera dei Deputati. Ecco che, dopo il fracaso di Feijóo, è toccato nuovamente al leader dei socialisti spagnoli, il premier uscente Pedro Sánchez. Già nella torrida estate madrileña e durante la giornata elettorale, il capo di governo manifestava una serenità serafica, affermando di percepire “buone vibrazioni”. Un discorso “da guru” che si è rivelato, in fin dei conti, esatto. I popolari hanno chiuso in prima posizione ma, sommando le forze con quelle di Vox, la destra non aveva i numeri per governare. Il PSOE, invece, reduce da una piena legislatura, non solo ha tenuto botta ma ha anche visto un leggero incremento delle proprie percentuali.
Una sfida giocata sull’integrità territoriale
Il vero nodo gordiano delle ultime elezioni in Spagna e, soprattutto, della quadra della maggioranza parlamentare, risiedeva nell’integrità territoriale. Più che una definizione longitudinale dei blocchi (sinistra vs destra), le alleanze e sinergie si sono sviluppate attraverso la vertente del rapporto tra Stato Centrale e Comunità Autonome. In questo senso, tanto il Partido Popular come Vox si sono piazzati in maniera rotonda dalla stessa parte: quella che vuole uno Stato centrale forte e che al più, può mantenere questo status quo, senza fare ulteriori concessioni. Non solo: anche dal punto di vista ideologico e narrativo, l’unità della Spagna – rappresentata da Madrid e dalla difesa della monarchia – è diventato un fattore agglutinante. E così, Feijóo (PP) e Abascal (Vox) hanno trovato un terreno comune d’intesa, con i popolari pronti a guidare un governo di minoranza e la formazione di ultra-destra di Vox a influire e dare appoggio dall’esterno. Queste condizioni d’intesa, però, hanno reso il terreno attorno a Vox e PP totalmente sterile, impedendo la nascita di convergenze più ampie con i partiti regionalisti (anche quelli di destra, come il PNV, basco, o la stessa Junts x Catalunya).
Le tre manovre di Sánchez per arrivare alla Moncloa
Alberto Feijóo si è presentato alle porte del palazzo della Moncloa (sede del governo spagnolo) senza avere le chiavi. Pur totalmente legittimato dai risultati che l’hanno visto vincitore della notte elettorale del 23 luglio 2023, infatti, le dichiarazioni a caldo dei partiti non lasciavano presagire nulla di buono per il Partido Popular. E così, Felipe VI ha convocato nuovamente i partiti e ha assegnato l’incarico di trovare una maggioranza al premier uscente Sánchez. E il socialista, come prevedibile, è riuscito nel suo intento.
1. Conferma dell’alleanza con Sumar (Yolanda Díaz) su base di diritti sociali, lavoro e piano per la casa
In primis, ha confermato l’alleanza con Sumar, piattaforma politica guidata dalla ministra del lavoro Yolanda Diaz e che, in fase di campagna, includeva anche Podemos. Un accordo che si centra prevalentemente sui diritti sociali e sulla riduzione della giornata lavorativa, con un monte ore settimanale full-time che passerebbe, per legge, dalle 40 alle 37,5 ore e un nuovo ritocco verso l’alto del salario minimo interprofessionale. Nel testo dell’accordo (che prevede ben 230 punti), si include anche una maggior tutela a fronte dei licenziamenti (applicando condizioni più stringenti nei licenziamenti per giusta causa) e un incremento dei permessi di maternità e paternità. Non mancano poi le convergenze sulla transizione energetica, investimenti green, politiche a sostegno dei giovani e, tema chiave, un ampliamento del parco di case pubbliche. A questa misura si collega il tentativo di calmierare gli affitti e ridurre l’impatto (in percentuale) del costo dell’abitazione dal proprio reddito.
In questo accordo, si prevede la presenza di Sumar nel governo, confermando in buona sostanza la formula dell’ultima Legislatura, con PSOE attore protagonista e la sinistra “più a sinistra dei socialisti” a completare la formazione ottenendo un buon numero di dicasteri.
2. L’ampliamento delle competenze delle Comunità Autonome e il “riconoscimento della nazione” come base dell’accordo per i partiti regionalisti
Dopo l’accordo con Sumar, Sánchez è passato agli attori regionalisti. Il País Vasco (Paesi Baschi) era territorio chiave insieme alla Catalunya. E qui, Pedro Sánchez ha dato dimostrazione di pragmatismo andando a trovare un accordo con il Partido Nacionalista Vasco (partito regionalista di destra liberale) per un ampliamento delle competenze della Regione, da portare a compimento nel giro di appena due anni (con quello che viene definito a tutti gli effetti un autogoverno) e il riconoscimento della nazionalità basca. Questo punto porta con sé anche il riconoscimento della dignità dell’Euskadi come lingua ufficiale della Regione insieme al castellano. È da questo accordo in concreto che si è manifestata la volontà politica di Pedro Sánchez, di spostare il focus dalla sfida ideologica classica a quella relativa alla cambiante forma dello Stato spagnolo.
Un accordo simile è stato stipulato con Esquerra Republicana (ERC). In un documento di 14 pagine, si dedica ampio spazio alla genalogia della questione catalana e al superamento del conflitto (definito politico) attraverso la via politica e non quella giudiziaria. Questo diventa il supposto per avanzare su quello che è diventato il punto dirimente e più discusso dell’intero processo di negoziazione.
3. La legge di amnistia che apre le porte del Governo della Spagna
La risoluzione del conflitto, secondo ERC, passa dalla legge di amnistia “per giungere alla piena normalità politica, istituzionale e sociale come requisito imprescindibile per affrontare un dialogo e una negoziazione in condizioni ottimali ed equilibrate, con le quali affrontare le sfide del prossimo futuro” (pag.3 di 14 del documento di accordo tra PSOE ed ERC). Se ne era parlato ampiamente e molti esperti la ritenevano la chiave per giungere all’accordo con i partiti catalani e far partire il Sánchez III.
Se l’accordo con ERC è stato raggiunto in tempi relativamente brevi e con punti programmatici concreti basati sulla condivisione ideologica, con Junts x Cat c’è stato da lavorare in una direzione diversa. La formazione indipendentista guidata dall’esiliato Carles Puigdemont, al di là della legge di amnistia (già accolta favorevolmente da Sánchez) puntava anche a stabilire i primi passi verso un referendum concordato tra il governo centrale e la Comunitat de Catalunya. Il tutto è stato sintetizzato in un breve documento di 4 pagine, in cui si parla di una “opportunità storica” per avanzare verso la risoluzione del conflitto. Alla base ci sarebbe una metodologia improntata al dialogo, con la costituzione di un tavolo di discussione permanente.
Con la garanzia dei voti di Junts in Parlamento, Sánchez è riuscito a chiudere la partita e il 16 novembre ha incassato il favore di 179 deputati: 3 in più rispetto al “magic number” (176) che dà luce verde al nuovo esecutivo.
Le conseguenze dell’accordo di governo e il quadro generale: la questione catalana al centro della legislatura nascente
L’apertura di Sánchez ai partiti regionalisti e indipendentisti di tutta la Spagna era imprescindibile per far partire un nuovo governo. Pedro “El inmortal” Sánchez si conferma alla guida del governo, stavolta con meno certezze rispetto all’ultima legisulatura, ma pur sempre in sella e pronto ad ergersi come il pacificatore della Patria. Può essere propriamente questa l’immagine del “nuovo” Sánchez, che dovrà dedicarsi alle questioni regionali con molta più intensità rispetto al passato. Chiaramente la reazione da parte del fronte “unionista” è stata immediata, con tante piazze da Nord a Sud del Paese che si sono unite per dire no all’aministia nei confronti dei separatisti catalani. Una chiamata alle armi che ha favorito immediatamente il Partido Popular e Vox, araldi di questo fronte. Proprio la compagine guidata da Feijóo si erge nei sondaggi come primo partito per distacco in intenzioni di voto (35%, a fronte del 30% circa dei socialisti), mentre la destra di Vox si avvicina a Sumar per la terza posizione (giocata attorno all’11%).
Il primo anno è gratis, poi…
Considerata la complessità del tema referendario e della revisione dei rapporti tra Stato centrale e Comunità Autonome, i primi 365 giorni circa di governo dovrebbero filare senza particolari patemi. Si è troppo vicini alla data delle elezioni europee per pensare di poter rompere gli equilibri già nel giro dei prossimi mesi e, soprattutto, ci sarà da aspettare la legge di bilancio per il 2025 per capire quale sarà la vera direzione presa dal governo Sánchez rispetto agli alleati regionalisti e indipendentisti. E se per la legge di amnistia sembra che si possa procedere in tempi relativamente brevi e ci sia già una intesa, discorso diverso è per l’organizzazione di un nuovo referendum per la secessione della Catalogna. Il primo anno dovrebbe essere “gratis”. Poi, però, ci sarà da compiere qualche passo in avanti. E lì, la destra potrebbe passare all’incasso, rincarando la dose con manifestazioni di piazza e chiedendo la testa del primo ministro “che vuole disintegrare l’unità della Spagna” (riprendendo un leit motiv dei popolari).
Le altre questioni che terranno banco, dal lavoro al piano-casa. E sull’unità, c’è frattura immediata tra Sumar e Podemos
Ovviamente non tutta a Spagna sente le questioni regionaliste come primarie ed impellenti. Così come il resto d’Europa, la Spagna lotta con l’inflazione galoppante e la necessità di far fronte ad affitti alle stelle. Sánchez è obbligato a dare continuità al lavoro avviato nella passata legislatura con Yolanda Diaz, pur inimicandosi buona parte della patronal. Il piano casa invece rimane una materia pendente e mai trattata in modo sufficiente dal primo ministro spagnolo. Anche qui, le istanze sociali cozzano fortemente con il panorama, che vede nei grandi fondi d’investimento e nelle banche i detentori privilegiati del parco case del Paese. Si ripartirà, verosimilmente, da questi due punti, pilastri dell’accordo stipulato da Sánchez e Diaz. Ma…
Diaz esautora Montero e lo storico leader di Podemos, Pablo Iglesias
Se Pedro Sánchez è leader per acclamazione dei socialisti, tra i soci di minoranza c’è già una spaccatura. La piattaforma politica Sumar, capeggiata dal ministro del lavoro Yolanda Diaz, non prevede inserire nemmeno un solo esponente di Podemos nella prossima squadra di governo. Uno smacco che sancisce la rottura definitiva tra Yolanda Diaz (da un lato) e Pablo Iglesias (fondatore del partito), Irene Montero (ministra di uguaglianza) e Ione Belarra (attuale segretaria di Podemos) dall’altro.
I segnali erano già evidenti, considerata l’esclusione di Irene Montero dal discorso elettorale del 23 luglio. La Montero, compagna di Iglesias e madre di tre figli, si è vista “eclissata” dalla ministra Diaz, che nel corso della lunga marcia di avvicinamento alle ultime elezioni generali ha via via accantonato la “marca” Podemos per far posto a quella più moderata di Sumar. E se Pablo Iglesias ha deciso già da tempo di allontanarsi dalla politica attiva per tornare alla produzione accademica, questa frattura definitiva potrebbe rimettere in gioco quello che è stato il vero guru della sinistra europea negli ultimi anni. La reazione in Parlamento di Podemos allo smacco di Sumar è tutto da verificare e fa nascere questo governo sotto la stella dell’incertezza.