Niente di nuovo sul fronte americano

Pubblicato il 5 Novembre 2009 alle 11:00 Autore: Andrea Mollica
intervento usa su proteste turchia

Niente di nuovo sul fronte americano

 

Le elezioni di martedì hanno reso più amaro il primo anniversario della vittoria di Barack Obama. Il presidente si è speso forse più di quanto sarebbe stato auspicabile – un errore già commesso poco tempo fa con il flop del tentativo olimpico di Chicago – e le sconfitte democratiche in Virginia e New Jersey , le due consultazioni più importanti, riportano sulle terra le supposte doti taumaturgiche del primo inquilino nero della Casa Bianca. Giovani e minoranze etniche, componenti essenziali della coalizione sociale obamiana, sono rimasti tranquillamente a casa, condannando così alla sconfitta Corzine e Deeds, le due vittime più significative della rimonta repubblicana. Una resurrezione però molto parziale, dato che si parla di elezioni dove ha votato poco più della metà degli elettori di un anno fa.

Niente di nuovo sul fronte americano

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[ad]Gli exit poll hanno illustrato dati già rilevati dalla gran parte dei sondaggi. Ad un anno di distanza, l’entusiasmo dell’elettorato democratico e la rabbia anti Bush/ anti Gop degli indipendenti sono ormai archiviati. Il tasso di disoccupazione al 10%, i controversi salvataggi statali che hanno aggravato la situazione debitoria del governo federale e lo stallo di alcune riforme hanno ridotto il vantaggio dei democratici che aveva portato prima alla riconquista del Congresso e poi alla storica vittoria di Obama. Un fenomeno antico, che caratterizza il sistema politico statunitense. Nel dopoguerra, solo 2 volte il partito che esprimeva la Casa Bianca ha conquistato le elezioni di medio termine, in circostanze definibili come eccezionali. Il post 11 settembre che galvanizzò i repubblicani nel 2002, e la rabbia contro l’impeachment che portò alla tenue vittoria democratica nel 1998. E’ dunque probabile che l’anno prossimo si scriverà di una sconfitta liberal alle midterm, anche perché una maggioranza così ampia mancava al Congresso da oltre 30 anni. Sull’eventuale vittoria del Gop nel 2010 le elezioni di martedì non hanno però detto praticamente nulla.

 

New Jersey e Virginia hanno proseguito la ormai ventennale tradizione che manda all’opposizione nello Stato il partito al potere a Washington Dc. Più che indicative del futuro, le due consultazioni confermano tendenze già note dell’elettorato americano, la diffidenza verso l’eccesso di potere nelle mani di una singola formazione politica e le difficoltà degli incumbent in periodi di crisi. Perfino Bloomberg, che ha speso circa 100 milioni di dollari contro i neanche 10 del suo sfidante, ha rischiato di perdere un’elezione sostanzialmente abbandonata dai democratici.

Gli exit poll hanno inoltre mostrato un discreto tasso di approvazione del presidente: 57% in New Jersey, dove il 20% di chi apprezza Obama ha votato contro il democratico, l’impopolare Corzine. In Virginia lo score del presidente si è attestato al 48, in un elettorato molto diverso da quello di novembre 2008, e la stessa percentuale, un quinto di chi approva l’operato presidenziale, ha votato per il Gop. Alle urne per le governatoriali la maggioranza arrideva però agli elettori di McCain, al 51% rispetto al 43% di chi aveva scelto Obama. Uno swing di 14 punti molto simile al margine di vittoria ottenuto dal repubblicano McDonnell, che ha ottenuto una vittoria così convincente da potersi immaginare una scalata alla politica nazionale.

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