I supporter del sistema elettorale a doppio turno, o ancor meglio del sistema istituzionale francese, si augurano che la spinta propulsiva originata dalla vittoria di Hollande in Francia dia tutti i suoi frutti. O comunque non si disperda nel breve periodo.
[ad]La politica italiana infatti come molto spesso capita è galvanizzata dagli eventi internazionali e ora tutti vogliono fare i “francesi”. Accadde già nel 2007 quando tutto il centrodestra nostrano fu colpito dall’infatuazione sarkozysta non prevedendone, come era evidente, i nefasti esiti.
Il PdL allora sfrutta il caso ellenico, d’impronta proporzionalista, e la speditezza del sistema francese per fare una proposta da sempre non lontana dal dna della destra italiana: l’elezione diretta del capo dello stato.
Si tratta senz’altro di una mossa di impronta tattica da parte di Berlusconi che non sembra trovare una quadra per il suo partito. E la tanto agognata discontinuità promessa dalla leadership di Alfano non si è mai vista e ha mostrato i suoi profondi limiti. Sia sotto il governo “amico” sia sotto il governo Monti.
Non è dunque la “più grande novità politica dai tempi della discesa in campo” ma la proposta del PdL di passare ad un sistema di tipo semipresidenziale non è del tutto nuova anche solo dal punto di vista teorico.
Quello che fa riflettere maggiormente è però la reazione alla proposta berlusconiana. Perché se l’Udc comprensibilmente fa melina, non pensando ad altro che al modello tedesco, è la reazione del Pd che dovrebbe far riflettere.
Pierluigi Bersani ha subito detto che probabilmente si tratta di una mossa tattica da parte di Berlusconi e che probabilmente (visto che l’ex premier propone una riforma costituzionale) non ci sono i tempi tecnici.
Un’analisi ineccepibile. Ma che forse pecca proprio su questo punto: è un’analisi quasi troppo d’analista e non da chi guida e fa parte a pieno ritmo del gioco politico.
L’approccio della sinistra al tema del semipresidenzialismo e del doppio turno alla francese è infatti da sempre una storia contrassegnata dal coraggio. Per quanto non sia il sistema da sempre prediletto lo stesso Massimo D’Alema nel corso degli anni ha più volte dichiarato che non occorreva demonizzare una proposta di questo tipo. E non servivano alzate di spalle ma schiena dritta.
Certo, i precedenti, Bicamerale in testa, non sono quanto mai favorevoli.
Ma il quesito è: perché il Pd, a maggior ragione dopo la sua proposta di riforma elettorale, non accetta la sfida di Berlusconi? Perché non ci sono i tempi tecnici? Probabilmente per quanto riguarda l’aspetto costituzionale (elezione diretta del Presidente della Repubblica) ma non è detto che lo sia per tutte quelle riforme di carattere ordinario come la legge elettorale.
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[ad]Del resto non era prerogativa del Pd accantonare immediatamente questa disgraziata e attuale formula elettorale in vigore?
E soprattutto: se ci stanno le condizioni politiche non dovrebbe dipendere dagli attori in campo? Non dovrebbe dipendere anche dal Pd e dalla sua leadership?
Domande legittime, desiderose di una risposta.
Il Pd dovrebbe però accettare la sfida. Puntare su un terreno comune legato alla legge elettorale e, se c’è la volontà politica, ad una riforma istituzionale ponderata in grado di aumentare prerogative e competenze del capo del governo non necessariamente passando per il semipresidenzialismo e per l’elezione diretta dal Capo dello Stato.
Non è solo un discorso di pratica e teoria. Ma anche di chi può permettersi un’analisi e chi può permetterselo ma al tempo stesso ha la possibilità di agire e incidere nel cambiamento. Per diventare ancora una volta padrone e fautore del proprio destino.