Europee 2024: basta con la farsa dei leader che si candidano per finta
Le elezioni europee dell’8 e 9 giugno sono alle porte e presto i partiti alzeranno il velo sulle liste da presentare nelle cinque circoscrizioni in cui è suddiviso il territorio nazionale. La prima data cerchiata di rosso sul calendario è quella del 20 aprile, termine per la presentazione dei simboli, mentre le liste con i candidati vanno depositate tra il 30 aprile e il primo maggio per ciascuna circoscrizione. Ma un grande equivoco aleggia sul voto.
Da tempo immemore, infatti, una consultazione che in teoria avrebbe come scopo il rinnovo del Parlamento europeo viene puntualmente trasformata in questo paese in un “banco di prova” o “test” per saggiare il gradimento verso il governo di turno o per misurare il consenso dei leader dei partiti. Evidente conseguenza di questo malcostume tutto italiano è il ridicolo balletto sulle ipotesi di candidatura dei capi delle forze politiche a cui siamo costretti ad assistere ogni cinque anni: una sorta di ‘truffa’ consensuale dove gli elettori sanno benissimo che il politico a cui stanno dando il loro voto non intende passare un solo minuto all’Europarlamento e rinuncerà al seggio un secondo dopo la proclamazione del risultato, cedendo il posto alle seconde linee, per continuare a stare al governo, alla Camera o al Senato; eppure costoro sono ben lieti di scrivere sulla scheda il nome di una persona che a Strasburgo non metterà mai piede.
Stavolta la (finta) suspence ce la regala Giorgia Meloni, che non ha ancora fatto sapere se intende compiere o meno il grande passo. La conferenza programmatica di Fratelli d’Italia in programma a Pescara dal 26 al 28 aprile sarà la sede in cui probabilmente la premier annuncerà la discesa in campo come capolista di Fdi in tutte le circoscrizioni. Tutti gli indizi remano verso questa direzione, a partire dai maxi manifesti con il volto di Meloni apparsi nelle principali vie di Milano, sui quali campeggia la scritta “Con Giorgia l’Italia cambia l’Europa” – anche se dai piani alti di Fratelli d’Italia hanno subito tenuto a precisare che la scelta di puntare sull’immagine della presidente del Consiglio prescinde da una sua eventuale candidatura. Ma quanto inciderebbe una partecipazione diretta dei leader alle europee sulla performance delle rispettive forze politiche? Pochino, almeno secondo l’ultimo sondaggio realizzato da Euromedia Research per Porta a Porta lo scorso 9 aprile: l’istituto di ricerca attribuisce a Fratelli d’Italia un consenso del 26.9% (primo partito), ma in caso di candidatura della Meloni in tutte le circoscrizioni i voti salirebbero al 27.1% (con un beneficio del solo +0.2%), con 24 seggi che scatterebbero al Parlamento europeo per Fdi.
Se guardiamo in casa del Pd la situazione non cambia di molto. Stando sempre alla rilevazione Euromedia, i dem senza Elly Schlein in lista toccherebbero quota 19.7%, mentre con la candidatura della segretaria arriverebbero al 19.8%. L’altra grande soap opera di questa pre-campagna elettorale riguarda proprio il destino della leader Pd, che attualmente siede in Parlamento come deputata e non ha ancora sciolto la riserva su ciò che vuol fare ‘da grande’. ‘La Repubblica’ fa sapere che Schlein avrebbe abbandonato l’idea – accarezzata in un primo momento – di candidarsi in tutte le circoscrizioni. Nel Nord Est per esempio gli elettori dem potranno consolarsi con Stefano Bonaccini, che fino a prova contraria è ancora governatore dell’Emilia Romagna, mentre al Sud vivranno momenti di forte smarrimento quando in cima alla lista dei candidati apparirà il nome della giornalista Lucia Annunziata. Stiano tranquilli, nessuna allucinazione e nessun caso di omonimia. Si tratta della stessa Annunziata che in una nota dello scorso settembre dichiarò in maniera perentoria che non si sarebbe “mai e poi mai” candidata alle europee, “né con il Pd né con nessun altro partito”, per poi aggiungere stizzita: “Spero che questa smentita sia chiara abbastanza per mettere tranquilli tutti”. Ma evidentemente il concetto non era chiaro in primis alla stessa Annunziata, che alla fine correrà nelle liste Pd in spregio alla coerenza (e all’intelligenza dei suoi elettori).
Il numero uno della Lega e vicepremier Matteo Salvini si gioca tantissimo in queste europee. Il rumore dei ‘nemici’ interni – cioè la fronda nordista che ancora si riconosce nel vecchio fondatore Umberto Bossi – si fa sempre più assordante e in caso di magro bottino alle urne la leadership del ‘Capitano’ sarebbe messa in discussione. E questa volta per davvero.
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Fiutato l’andazzo, Salvini ha scelto di non gettarsi nell’agone: “Continuerò a fare il ministro”, la motivazione del segretario leghista che tra l’altro è stato europarlamentare in tre legislature, come confermato da alcuni testimoni oculari che hanno avuto la fortuna di assistere alle sue rarissime apparizioni a Strasburgo. Alla fine il capo di Forza Italia Antonio Tajani dovrebbe essere della partita, nonostante a gennaio il titolare della Farnesina abbia espresso le sue perplessità sull’opportunità di una candidatura dei tre leader del centrodestra: “O ci candidiamo tutti o non si candida nessuno”, ma “se si candidano nello stesso momento la premier e i due vicepremier – metteva in guardia Tajani – credo ci sia il rischio che si perdano di vista le priorità del governo”.
Evidentemente la crisi in Medio Oriente, la guerra in Ucraina, il G7 in Puglia, il Pnrr, il boom della benzina e il prossimo aumento degli sbarchi in estate non rappresentano temi così prioritari: son cose che in fondo si possono gestire con la mano sinistra, tra un comizio e l’altro.
Matteo Renzi e Carlo Calenda (i Fedez e Chiara Ferragni della politica italiana) dopo il divorzio presenteranno alle europee due formazioni separate. Il senatore di Rignano ha varato con Emma Bonino la lista ‘Stati uniti d’Europa’ e lo scorso febbraio, ospite di Otto e mezzo su La7, ha assicurato che se dovesse essere eletto a Bruxelles ci rimarrebbe: del resto, come non credere a chi promise che avrebbe lasciato per sempre la politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale del 2016? Calenda, che è senatore come Renzi, ha già detto che non vuole correre: il suo partito però preme affinché si ripresenti alle europee quasi due anni dopo aver lasciato l’incarico di europarlamentare proprio per poter fare il senatore. Tutto chiaro, insomma.
Nei prossimi anni l’Europa è chiamata ad adottare decisioni fondamentali che avranno un impatto enorme sulle nostre vite: dal nuovo Patto di stabilità alla difesa comune, passando per la tutela dell’ambiente. Non sarebbe quindi il caso di mandare nelle istituzioni europee solo persone realmente intenzionate a rimanere lì una volta elette? Indipendentemente dalle loro preferenze per questo o quel partito, ai lettori e agli elettori un appello ci sentiamo di rivolgere: mai più preferenze ai leader che si candidano per finta. Smettiamola di assecondare questa farsa, ridiamo senso e dignità al voto.
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