Odio il 25 aprile: consigli pratici per sopravvivere alla ricorrenza

Odio il 25 aprile: consigli pratici per sopravvivere alla ricorrenza

Odio il 25 aprile: consigli pratici per sopravvivere alla ricorrenza

Puntuali come le tasse. Inesorabili come il tempo, come la vecchiaia. Ecco servite anche quest’anno le polemiche sul 25 aprile, che da quando il governo è in mano a Giorgia Meloni stanno vivendo una straordinaria stagione di rifioritura. E mai come stavolta verrebbe voglia di migrare su Plutone pur di scampare alla consueta cagnara e alla insopportabile valanga di retorica che accompagnano questa ricorrenza.

Una premessa è doverosa: la Festa della Liberazione, sulla carta, rappresenta una data importante per la nostra identità nazionale perché segna la fine di una pagina buia della storia italiana e la sconfitta di un regime infame e liberticida come quello fascista, responsabile di aver fatto precipitare il paese in una spirale di miseria e morte. Eppure non sono pochi coloro che, sebbene si riconoscano nei valori democratici della nostra Costituzione e quindi nel netto rifiuto del fascismo, fuggono come la kryptonite questo carrozzone che la sinistra – ritenendosi la sola depositaria dello spirito della Resistenza – puntualmente mette in piedi per continuare a dare un senso a sé stessa e per fidelizzare un elettorato che non ha mai saputo motivare con parole nuove e con concetti diversi (o forse non ci ha mai provato per davvero).

Siamo ostaggio di due schieramenti opposti di ultrà: da una parte, quelli che brandiscono in maniera strumentale l’antifascismo come una clava per colpire e silenziare tutto ciò che la loro visione manichea del mondo confina nel campo dei ‘cattivi’, quelli che vedono l”allarme fascismo’ ovunque tranne che in loro stessi; dall’altra, una destra (o almeno una parte di essa) che non ha ancora reciso il cordone ombelicale con la nostalgia per il ventennio e tuttora fatica a digerire la ‘svolta di Fiuggi’ con cui l’ex leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini provò a traghettare la sua comunità politica verso il terzo millennio abbandonando ogni riferimento ideologico all’era mussoliniana. Una diatriba stucchevole per chiunque sogni un paese moderno, saldo nelle sue radici ma proiettato verso il futuro. E come se non bastasse, a mettere il carico da novanta su un appuntamento già di per sé denso di tensioni sono le conseguenze della guerra in Medioriente: a Roma e Milano, infatti, sale l’allerta per il rischio di scontri tra i movimenti filo-palestinesi e i componenti della Brigata ebraica, questi ultimi divenuti oggetto del tradizionale tiro al bersaglio da parte degli esagitati che infestano le piazze del 25 aprile ogni anno che Dio manda in terra.

E se il clima nelle strade si fa sempre più incandescente, nella tv pubblica la situazione non è poi così diversa. Lo testimonia l’incredibile, kafkiana vicenda del monologo sul 25 aprile che lo scrittore Antonio Scurati avrebbe dovuto declamare nella trasmissione di Rai Tre ‘Che sarà’ ma che poi gli zelanti vertici di Viale Mazzini hanno deciso di tagliare, realizzando uno dei più clamorosi autogol comunicativi della storia del servizio pubblico. Il caso in esame merita un paio di considerazioni. La prima, è che la demenziale censura attuata da Mamma Rai ha fatto sì che un banale sermoncino come quello di Scurati – tutto incentrato sullo “spettro” del fascismo che secondo l’autore di ‘M. Il figlio del secolo’ incomberebbe ancora sulla democrazia italiana – spopolasse su social, siti e programmi tv acquistando una risonanza e una ribalta che non avrebbe mai e poi mai ottenuto se fosse rimasto confinato nella ridotta televisiva del terzo canale tra uno sbadiglio e l’altro, a uso e consumo degli spettatori (pochi) del programma di Serena Bortone (mentre scriviamo, il nome di Scurati è saldamente in testa ai trends di Twitter in Italia).

In buona sostanza, la mannaia della Rai ha trasformato un prodotto che nessuno si sarebbe filato di striscio in un manifesto dirompente contro il fascismo ma soprattutto contro il melonismo, al punto da smuovere dal silenzio la stessa presidente del Consiglio che ha scelto di postare su Facebook il testo integrale del monologo di Scurati per respingere al mittente le accuse di censura. Ora il web pullula di mitomani che per un paio di like si mettono a recitare i versi dello scrittore in video pomposi e ridicoli. E qui veniamo alla seconda questione.

È da escludere, a mio modesto avviso, che dietro la decisione di bloccare Scurati ci sia stato un preciso diktat della politica: queste operazioni spesso e volentieri vengono partorite dalle menti di persone più realiste del re. A questo punto delle due l’una: o i censori di Scurati, che in teoria sarebbero professionisti della comunicazione, ignoravano l’effetto boomerang che questa azione nefasta avrebbe inevitabilmente prodotto; oppure, benché fossero consapevoli del vespaio dietro l’angolo, hanno comunque deciso di imporre lo stop con l’auspicio che i potenti al governo un domani si sarebbero ricordati di questo gentile omaggio. Entrambe le ipotesi appaiono deprimenti. La presunta motivazione economica alla base dell’epurazione di Scurati (si parla di un cachet sotto i 2mila euro) non vogliamo nemmeno prenderla in considerazione per una questione di rispetto verso l’intelligenza dei lettori.

Per passare indenni dalle forche caudine del 25 aprile non resta che seguire alcuni consigli pratici, un po’ drastici ma efficaci: stare alla larga da notiziari e programmi di approfondimento; cercare il più possibile di tenere lo smartphone fuori dalla propria portata; azzerare uscite pubbliche e occasioni mondane (presentazioni di libri, cene, aperitivi, appuntamenti su Tinder e men che mai manifestazioni); evitare tassativamente letture di quotidiani e settimanali (potrebbero contenere tracce di ‘Bella Ciao’, vignette di Mauro Biani o strisce di Zerocalcare); praticare un salutare lockdown mediatico-sociale per scongiurare ulcere gastroduodenali dovute a conversazioni indesiderate sul pericolo fascista in Italia; bere molta acqua e mangiare tanta frutta. In poche parole “chiudersi a riccio”, come suggeriva il mitico Duccio Patanè della serie tv ‘Boris’. Tempo qualche giorno e ci libereremo anche di questa Liberazione.

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