Riforma Patto di Stabilità: cosa cambierà? I punti cardine
Riforma Patto di Stabilità: approvata definitivamente dal Parlamento Europeo con un’ampia maggioranza. Come cambia il pacchetto di regole fiscali a cui tutti gli stati membri Ue devono attenersi? Le norme diventano un po’ più “leggere” ma saranno previsti maggiori controlli sui bilanci. Uno sguardo alle novità.
Riforma Patto di Stabilità all’ultimo miglio
Riforma Patto di Stabilità: approvata definitivamente dal Parlamento Europeo con un’ampia maggioranza (in cui non compare alcun partito italiano). La proposta di modifica avanzata dal Commissario Europeo per gli Affari Economici Paolo Gentiloni era già passata al vaglio dei ministri delle Finanze degli stati Ue a settembre. Dunque, il Consiglio dell’Unione Europea e il Parlamento europeo avevano trovato una convergenza sul testo della riforma a febbraio. Adesso, manca l’ultimo passaggio, di fatto, una formalità: l’approvazione da parte del Consiglio Ue. Quindi, le nuove regole fiscali cominceranno a essere applicate ai bilanci dei paesi dell’Unione Europea a partire dal 2025.
Come cambierà? I punti cardine
Riforma Patto di Stabilità: come cambierà? Per Patto di Stabilità si intende il pacchetto di norme che stabilisce i paletti entro cui devono muoversi i conti pubblici degli stati membri Ue, soprattutto, per quanto riguarda il ricorso all’indebitamento. Il Patto era stato sospeso nella primavera del 2020 in modo tale da lasciare ai paesi europei un margine di manovra nel contrasto dei contraccolpi economici della pandemia di Covid. Terminata l’emergenza, il Patto doveva ritornare in vigore nel 2024: contestualmente però è stata avviata una (lunga e tortuosa) discussione per modificare alcuni aspetti giudicati da più parti troppo “rigidi”.
Scendendo nel dettaglio, rimane invariato il nucleo centrale del Fiscal Compact. Infatti, la riforma non sfiora nemmeno i “parametri di Maastricht”. In pratica, i paesi dovranno mantenere un debito pubblico inferiore al 60% del Pil e il rapporto deficit/Pil non dovrà superare il 3% (il rapporto italiano è del 7,4%). Tuttavia, i paesi con il debito più alto potranno contrattare con Bruxelles un piano di rientro dal debito spalmato su 4-7 anni. Altro punto fondamentale quello che prevede per i paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 90% (quello italiano, per esempio, è del 137%) una riduzione dello stesso pari ad un punto di percentuale per ciascun anno del piano di rientro. La riduzione, invece, sarà pari a mezzo punto percentuale per i paesi che hanno un rapporto debito/Pil tra il 60% e il 90%. Insomma, regole più “leggere” rispetto a quelle precedentemente previste che richiedevano una riduzione di un ventesimo della quota in eccesso all’anno (regole, tra l’altro, così irrealistiche da non essere mai state concretamente applicate).
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