Il fallimento del Cop15 ed i nuovi equilibri mondiali

Pubblicato il 25 Dicembre 2009 alle 22:00 Autore: Redazione
acqua

[ad]Una soluzione condivisa del problema può quindi passare solo da una diversa tipologia di negoziazione ed una diversa scelta dell’obiettivo, che passa necessariamente dal superamento dell’impostazione “meno emissioni – meno uso di combustibili fossili” perché questo viene vissuto come “meno sviluppo” da parte delle economie emergenti. Del resto, come ha osservato il responsabile Onu per l’ambiente Yvo de Boer: “in India 400 milioni di persone vivono senza accesso alla corrente elettrica. Come gli dici di spegnere una lampadina che non hanno?”. Un nuovo assetto internazionale che obblighi paesi popolosi come  la Cina e l’India (rispettivamente al primo e quinto posto mondiale nelle emissioni dei gas serra) al rispetto di un tetto alle emissioni globali potrebbe verificarsi solo in cambio di un patto che crei un equilibrio duraturo tra l’esigenza (dovere) di ridurre le emissioni e la richiesta (diritto) a far sviluppare la propria economia.

Alla fine l’intesa trovata sul filo del rasoio tra Usa, Cina, India, Brasile e Sud Africa è stata su un documento non vincolante, che assume come obiettivo un aumento massimo di temperatura di 2 gradi con una riduzione di emissioni su base volontaria tra i vari paesi. Una proposta molto simile a quella voluta dal gruppo Basic in contrapposizione alla bozza danese, che è stata diffusa dal quotidiano Le Monde (che potete vedere qui) e che è imperniata sul continuo del Protocollo di Kyoto e sul taglio, da parte dei paesi ricchi, dei gas serra del 40% al 2020 rispetto al 1990 e senza ricorrere a meccanismi di compensazione.

BASIC è l’acronimo che sta per Brasile, Africa del Sud, India e Cina ed indica il nuovo “caminetto internazionale” dei paesi emergenti che è venuto alla luce in questo negoziato sull’ambiente. Da notare come la proposta sia stata formalmente avanzata assieme al Sudan, paese che preside il cosiddetto gruppo dei 77 che, nato il 15 giugno del 1964, raggruppa i 77 paesi in via di sviluppo firmatari della “Dichiarazione unitaria dei 77 stati”, sottoscritta alla prima sessione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo e il Commercio (UNCTAD).

Per tenere compatto tutto il gruppo dei 77, nel quale ci sono piccole isole e molti stati particolarmente vulnerabili (che sono quindi più preoccupati dei paesi emergenti per i probabili impatti del global warming e spingono per un accordo più coraggioso), la proposta del gruppo BASIC ha fatto leva sull’istituzione di fondi per l’adattamento che ne riconoscono la necessità di misure ad hoc, riuscendo così a mantenere coeso un blocco di paesi tra loro profondamente diversi. Ma la politica ispiratrice di questa nuova “cabina di regia” del gruppo dei 77 è riassumibile nella formula contenuta nel documento che così recita: “lo sviluppo economico e lo sradicamento della povertà sono una priorità indiscutibile dei paesi in via di sviluppo”. Un postulato che sostanzialmente racchiude la filosofia economica del gruppo BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), secondo cui la riduzione tout court delle emissioni nei paesi in ripresa economica significa rallentare la produzione industriale, e quindi lo sviluppo. Filosofia appoggiata anche dalla Russia che è stata presente nella capitale danese col presidente Dmitri Medvedev solo durante i due giorni finali.

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