Andate a fanc*lo voi e l’Eurovision

Andate a fanc*lo voi e l'Eurovision

Andate a fanc*lo voi e l’Eurovision

Disclaimer: questo è un articolo di opinione che riflette l’idea personale dell’autore e che non ha subito alcuna revisione o modifica da parte di Termometro Politico.

Sabato sera ho avuto l’idea malsana di sintonizzarmi su Rai Uno per seguire la finalissima dell’Eurovision song contest, che per chi non lo sapesse è l’equivalente europeo del Festival di Sanremo: a spingermi verso l’incauto gesto non è stato un interesse per le canzoni in gara, di cui mi frega molto poco (conoscevo solo ‘La noia’ di Angelina Mango, rappresentante dell’Italia nella competizione), quanto piuttosto una sincera curiosità nei confronti del chiassoso circo di polemiche che ha accompagnato l’esibizione della cantante israeliana Eden Golan, vero caso mediatico di questa edizione dell’Eurovision ospitata dalla Svezia, a Malmö.

Nata nel 2003 da genitori ebrei emigrati in Israele dall’ex Unione sovietica, la giovane artista si è esibita con il brano ‘Hurricane‘, inizialmente intitolato ‘October rain‘: la canzone è stata modificata perché considerata eccessivamente ‘politica’ dai giudici dell’Eurovision alla luce dei riferimenti all’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023, eliminati dal testo per consentire a Israele di accedere alla kermesse. E infatti la nuova versione parla di una donna alle prese con l’uragano che scuote la sua anima dopo la fine di un amore. Tutto questo non è bastato a Eden Golan per salvarsi dall’uragano di contestazioni che si è abbattuto sulla sua partecipazione a questa gaia carovana trash che ogni anno celebra il trionfo del politicamente corretto.

Si possono avere diversi punti di vista su quanto sta accadendo in Palestina e in generale in Medio Oriente: c’è chi ritiene che la reazione del governo israeliano alla vigliacca rappresaglia di Hamas sia pienamente legittima e che debba proseguire a oltranza fino alla distruzione completa dell’organizzazione estremista che tiene al giogo il popolo palestinese; e c’è chi considera l’offensiva dello Stato ebraico spropositata, viste le decine di migliaia di civili palestinesi morti nei raid israeliani, o addirittura accusa apertamente il governo Netanyahu di crimini di guerra. Il punto non è questo.

Comunque la si pensi sul conflitto israelo-palestinese, Eden Golan non è un politico, è un’artista di vent’anni che ha affrontato con grande compostezza e dignità la valanga di merda colatale addosso durante la tre giorni musicale in terra scandinava. Le bordate di fischi con cui il pubblico della Malmö Arena dell’Eurovision ha affettuosamente salutato ogni esibizione della cantante (e che si intensificavano non appena veniva inquadrata dalle telecamere la bandiera di Israele) rappresentano forse la parte meno disgustosa di un evento il cui slogan, ironia del destino, era ‘Uniti dalla musica’.

Sul sito del TgLa7 sono disponibili le immagini delle imponenti misure adottate per consentire gli spostamenti della cantante israeliana: 100 poliziotti e una carovana di 12 auto e furgoni, più un elicottero, hanno dovuto vigilare sull’incolumità di Eden Golan nel tragitto dall’albergo all’arena dove si è disputata la finale. Un dispositivo di sicurezza che avrebbe fatto impallidire le scorte di El Chapo e Totò Riina, resosi necessario a causa della presenza di migliaia manifestanti pro-Palestina nelle strade di Malmö, città che ospita una delle comunità palestinesi più numerose d’Europa. Tra i contestatori di Eden Golan anche l’attivista Greta Thunberg (finita in manette durante le proteste), che dopo aver cavalcato il filone del catastrofismo climatico, ormai loffio, è a caccia di nuova visibilità.

Se all’esterno della Malmö Arena il clima era caldissimo per la cantante ebrea, dentro al palazzetto dello sport l’atmosfera si è fatta infernale per via del simpatico boicottaggio attuato da alcuni dei suoi colleghi. Il cantante svedese Eric Saade si è presentato con la kefiah palestinese al braccio, mentre l’irlandese Bambie Thug, persona ‘non binaria’ (qualunque cosa questo voglia dire), ha disertato le prove generali in aperta protesta contro la partecipazione di Golan alla competizione. Sulla pagina Wikipedia di questo curioso individuo leggo peraltro che Bambie Thug “pratica la stregoneria”, in particolare “la magia dei sigilli e della manifestazione, oltre ad aver praticato in passato anche la magia del sangue”; nei testi delle sue canzoni sono presenti “numerosi incantesimi e maledizioni” e il brano portato all’Eurovision ‘Doomsday Blue’ – la cui coreografia si svolge in un pentacolo circondato da un cerchio di fuoco con figure diaboliche che danzano – non fa eccezione. Insomma, ben vengano i riferimenti al satanismo ma guai a ricordare in una canzone le vittime degli attentati di Hamas.

L’artista franco-algerino Slimane ha interrotto la sua esibizione durante le prove, la cantante italo-norvegese Alessandra Mele ha mollato la giuria che avrebbe dovuto annunciare i punti della Norvegia e l’olandese Joost Klein si è coperto la testa con la bandiera del suo Paese mentre Golan parlava accanto a lui in conferenza stampa: Klein è stato squalificato dalla finale a seguito della denuncia presentata nei suoi confronti da una componente donna della troupe di produzione – in altri casi il ‘cattivone’ da biasimare sarebbe stato lui ma con questo clima da caccia all’ebrea, in un ambiente scaldato dallo stesso tepore che si respirava a Monaco o a Varsavia all’inizio degli anni ’40, l’indignato collettivo ha potuto indirizzare i propri anatemi verso un altro nemico.

Nonostante la caterva di consensi ottenuti da Israele grazie al voto popolare, la vittoria finale se l’è aggiudicata lo svizzero Nemo con la brutta canzone ‘The code’ che descrive la presa di coscienza dell’artista della sua identità ‘non binaria’ (aridaje). E così, tra i buuu anti-Israele, gli sculettamenti del vincitore elvetico (vestito con pelliccia di piume rosa e gonnella), donne barbute, balletti satanici e nemmeno l’ombra di un brano decente, cala il sipario su questo ‘Carro di Tespi’, perfetta rappresentazione del declino di un Continente fallito che si riempie la bocca di ‘inclusivity’ per poi invocare la censura di Paesi come Israele dove si tengono ogni anno i gay pride, coccolando allo stesso tempo la Palestina dei diritti omosessuali negati: secondo l’Equal Dex, i territori palestinesi occupano il 190° posto su 197 nel mondo nella classifica World Equality dei diritti Lgbt.

Pago di questo spettacolo, spengo la tv e un pensiero mi attraversa la mente: forse ‘Tele-Meloni’ ha colpito ancora. Sì, perché una roba del genere, piazzata su Rai Uno il sabato sera con le elezioni europee alle porte, può essere solo un moltiplicatore di voti per le destre.

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