Micro-fenomenologia del garantismo
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La micro-fenomenologia è una disciplina recente, situata all’incrocio della psicologia e della filosofia, e che può definirsi in nuce come la «descrizione esatta di un singolo vissuto». La singolarità del vissuto corrisponde a una delle proprietà ontologiche degli epifenomeni che riguarda più da vicino la qualità soggettiva del nostro vissuto. Gli studi delle università soprattutto francesi che stanno approfondendo questo tema – va segnalata l’attività di Nathalie Depraz, filosofa e docente a Paris Nanterre – analizzano ciascun portato fenomenico alla luce dell’impatto soggettivo, delle reazioni che produce nei singoli individui e del particulare esperienziale che ciascuno può trarne, forte dell’elaborazione di cui è capace. Il singolo – nella società ipermediatizzata – si riferisce a notizie importanti per proiettare se stesso in un agone più grande, al cospetto non dei pochi metri quadrati del suo ufficio o del suo appartamento ma di un’arena ampia, allargata. Universale, magari. Ciascuno, nella piccola o grande bolla dei suoi social, diventa commentatore attivo o piccolo (ma feroce) censore di un grande colpevole; poco importa se è Donald Trump o Joe Biden, l’Unione Europea o Orbàn, Giorgia Meloni, Benjamin Netanyahu o Giovanni Toti. Quel che conta è stabilire il rapporto di conflittualità tra sé e il mondo, mediato da uno scarico a terra di energia negativa. Da uno sfogo, una rivalsa.
Perché riflettendo sulla micro-fenomenologia dell’impatto che le notizie sulle inchieste giudiziarie hanno sul vissuto dei lettori e degli elettori italiani, sì: è facile riscontrare una inclinazione alla condanna anche in chiave di rivalsa sociale. C’è della povertà vendicata (non siamo forse tutti impoveriti?), della vendetta politico-culturale nel voyerismo con cui milioni di persone curiosano sulle chat, nelle intercettazioni, tra le foto di inquisiti e indagati, lontano da ogni accertamento di reato e contrariamente al principio della presunzione di innocenza. La micro-fenomenologia della pop-giustizia indica nel gusto per la pruderie e per la pretesa, invocata nudità dell’indagato una malcelata invidia accompagnata da una malriposta fiducia nel giudice-castigatore, nel livellatore sociale degli umani destini.
Cosa succede, però, se il giudice, il pm, gli inquirenti sbagliano? La responsabilità è alta. E questa volta no, non può essere condivisa. Il tifo da stadio sparisce, se il magistrato che ha lanciato l’inchiesta sbaglia. Se a dire il falso non è l’indagato ma l’indagatore. Quando parliamo di Pubblica amministrazione, oltre l’80% dei casi si rivela fuffa. Nella maggior parte dei casi i sindaci, i consiglieri comunali o regionali, i Presidenti di Regione escono penalmente puliti – dopo 5 o 10 anni – dalle inchieste che li hanno coinvolti. Nel paese di Enzo Tortora, dove gli errori giudiziari sono oltre mille ogni anno, e dove lo Stato deve pagare – con le nostre tasse – milioni e milioni di euro in risarcimenti per ingiusto processo ed errata detenzione, si fatica a tenere il conto di quanti politici democraticamente eletti vengono assolti, dopo anni di shitstorming giudiziario.
E’ il caso di Mario Oliverio, Simone Uggetti, Stefano Esposito, Antonio Bassolino, Catiuscia Marini e di chissà quanti altri. Per questo, quando leggiamo dell’inchiesta su Giovanni Toti, fermiamoci un attimo. Ricordiamoci che la maggior parte dei casi – se la statistica, la logica, la matematica hanno un senso – si risolve in un nulla di fatto, con tante scuse all’interessato. E permettiamo al dubbio di prevalere. Permetteremo così a noi stessi di veder prevalere in noi, nella nostra esperienza individuale non l’istinto ma la razionalità, non la vindice rabbia ma il buon senso. Nella micro-fenomenologia degli italiani potrebbe assumersi così un sentimento più maturo: la responsabilità individuale, il garantismo verso chi, da espressione del potere, è messo in discussione. Viviamolo con il beneficio del dubbio e accordiamogli la presunzione di non colpevolezza. Anche applicandola, a specchio, su noi stessi: nessuno di noi è colpevole per la condizione che vive, nessun amministratore pubblico è colpevole a prescindere, quando mancano ancora tre gradi di giudizio. Siamo tutti innocenti. Noi e loro. Inizieremo a guardare al mondo con occhi diversi.
Di Aldo Torchiaro, Ph.D. in Dottrine Politiche,
giornalista de “Il Riformista”