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Con il rientro in Italia del detenuto Chico Forti e la grancassa suonata dal governo Meloni per celebrare il lieto evento con la preziosa collaborazione dei media compiacenti, si arricchisce di una nuova perlina la lunga collana di casi giudiziari spettacolarizzati dal cinismo della politica. Sabato mattina gli italiani che smanettavano sui social si sono imbattuti in una foto che immortala la loro presidente del Consiglio assieme all’ex velista e produttore televisivo Enrico Forti, condannato all’ergastolo per omicidio negli Stati Uniti 24 anni fa: l’immagine, ripresa dagli organi di informazione, ritrae Meloni con le mani congiunte, tutta sorrisoni e occhi dolci, mentre chiacchiera amabilmente con Forti in una saletta dell’aeroporto militare di Pratica di Mare. L’uomo era arrivato dalla Florida a bordo di un Falcon 2000 dell’Aeronautica per scontare il resto della sua pena in Italia, in virtù dell’accordo di estradizione siglato con gli Usa dopo una lunga e complicata trattativa diplomatica.
Il ‘pacchetto’ confezionato dai tour operator di Palazzo Chigi prevedeva come tappa obbligata, dopo la photo-opportunity a uso e consumo della propaganda governativa, un’intervista al Tg1 nella quale Forti ha potuto ringraziare Giorgia Meloni (“personaggio fantastico”) e tutto l’esecutivo per l’impegno profuso. A chiusura del cerchio, la clip dell’Istituto Luce è stata rilanciata dalla stessa leader di Fratelli d’Italia sulla sua pagina Instagram: ed ecco servito il mega-spot in piena campagna elettorale per le europee. Quella di Chico Forti è una spinosa vicenda giudiziaria che da molti anni divide l’opinione pubblica italiana e americana tra innocentisti e colpevolisti. L’imprenditore trentino – arrestato nel 1998 a Miami con l’accusa di aver assassinato con due colpi di pistola alla nuca Dale Pike, figlio di Anthony Pike (dal quale Forti stava acquistando un albergo a Ibiza) – ha sempre professato la sua innocenza, lamentando di essere vittima di un complotto ordito dalla polizia di Miami ai suoi danni.
Forti, uomo che conosce bene il mondo della televisione, ha potuto contare sul sostegno di una vasta fetta di pubblico e su una efficace campagna assolutoria che ha visto schierati influenti personaggi dello spettacolo (da Andrea Bocelli a Jovanotti), politici di primo piano e seguitissime trasmissioni televisive tra cui Le Iene – sì, proprio loro: gli stessi che provarono a venderci la balla sesquipedale del metodo Stamina e che ora vogliono riaprire il processo ai coniugi di Erba Rosa e Olindo. I sostenitori della tesi dell’innocenza di Chico Forti denunciano come l’ex campione di vela sia stato condannato sulla base di un processo puramente indiziario, senza alcuna prova evidente, e basato su un movente per il quale Forti era stato scagionato in precedenza da un altro tribunale – ovvero truffa e circonvenzione di incapace nei confronti di Tony Pike, il proprietario dell’hotel di Ibiza che Forti stava provando ad acquistare.
Gli innocentisti puntano il dito contro il pregiudicato tedesco Thomas Knott, vicino di casa di Forti e assiduo frequentatore dell’albergo di Pike, che secondo la difesa dell’italiano avrebbe avuto più di un motivo per volere Dale Pike morto visto che per mesi Knott aveva addebitato illegalmente spese da capogiro sulle carte di credito del padre Tony. Al fronte dei colpevolisti si sono iscritti col passare degli anni persone come il criminologo ed ex ufficiale dei carabinieri Marco Strano; la criminologa e statement analyst Ursula Franco; Claudio Giusti, attivista contro la pena di morte scomparso nel 2021 e co-fondatore della sezione italiana di Amnesty International.
Secondo Strano, non vi sono dubbi sul fatto che Forti abbia commesso quel delitto, per una serie di ragioni. In sintesi: l’italiano avrebbe avuto un “fortissimo” movente, dal momento che Dale Pike stava per mandare all’aria l’acquisto dell’hotel ed era arrivato a Miami proprio per vederci chiaro; Forti, recatosi in aeroporto per prelevare Pike, è stato l’ultimo a vederlo in vita; le celle telefoniche, sostiene il criminologo, dimostrerebbero che Forti era presente nei pressi della scena del crimine nell’orario in cui è avvenuto l’omicidio di Pike, il cui cadavere nudo viene trovato sulla spiaggia di Virginia Key la mattina del 15 febbraio 1998; l’ex produttore tv aveva comprato con la sua carta di credito una pistola calibro 22, stesso modello dell’arma che ha ucciso Pike (Forti raccontò agli inquirenti di aver acquistato la pistola in un negozio di articoli sportivi per conto di Knott, che in quel momento non poteva pagarla); Forti ha mentito sia alla polizia che alla moglie, negando in un primo momento di aver incontrato Pike all’aeroporto. Ursula Franco inoltre evidenzia come Forti non sia stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Pike senior: nel suo caso sarebbe stata infatti applicata la cosiddetta Felony Murder Rule che consiste nella sospensione di un capo d’accusa perché movente dell’omicidio. E in generale tutto lo schieramento colpevolista si chiede come mai Chico Forti si sia sempre opposto alla pubblicazione completa degli atti del processo.
Insomma, siamo di fronte a una vicenda processuale molto complessa dove non mancano zone d’ombra. Proprio alla luce di tutto questo appare inspiegabile il trattamento da Capo di Stato riservato dalle istituzioni italiane a Chico Forti, accolto in pompa magna al suo rientro in Italia dal presidente del Consiglio in persona, a meno che non si decida di osservare gli ultimi avvenimenti attraverso la lente della propaganda elettorale. Intendiamoci, Meloni ha fatto benissimo a battersi per l’estradizione di Forti così come fa bene a chiedere un trattamento dignitoso per Ilaria Salis, da poco trasferita ai domiciliari in Ungheria, e per gli oltre 2.600 italiani che si trovano in prigione all’estero: ma era proprio necessario farsi fotografare accanto a un uomo condannato in via definitiva per omicidio e sulla cui innocenza aleggiano tuttora molti dubbi (nonostante un sapiente debunking dell’impianto accusatorio a opera di alcune campagne mediatiche)? Persino Alexandro Maria Tirelli, esperto di diritto internazionale ed ex consulente della famiglia Forti, non ha nascosto le sue perplessità circa il comitato di accoglienza riservato al detenuto: “In un altro Paese questo probabilmente non sarebbe accaduto. Una grande sensibilità da parte del governo che andrebbe spesa anche per le migliaia di detenuti reclusi nei penitenziari italiani. Un sistema in sofferenza”.
In tema di spettacolarizzazione di vicende giudiziarie, che si tratti di acclamare eroi o di additare mostri, la politica italiana è capace di vergare pagine memorabili. Molti hanno ricordato in questi giorni il caso di Silvia Baraldini, condannata negli Usa nel 1983 per associazione sovversiva e concorso in evasione ed estradata nel 1999 in Italia, dove nel 2006 ottenne la libertà grazie all’indulto. Ad attendere Baraldini all’aeroporto con un mazzo di rose rosse c’era il leader del PdCI Armando Cossutta e la destra che oggi va in brodo di giuggiole per Forti, all’epoca si adirò non poco. Imbarazzante lo show che nel 2019 il governo gialloverde allestì all’aeroporto di Ciampino per il rientro dalla Bolivia del terrorista rosso Cesare Battisti, dopo una fuga durata quasi 38 anni. La passerella dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini – vestito per l’occasione col giubbotto della polizia – e del guardasigilli Alfonso Bonafede, insieme alla gogna pubblica perpetuata dalle dirette social sui canali istituzionali, hanno segnato uno dei punti più bassi toccati negli ultimi dieci anni. Il caso di Ilaria Salis e la candidatura alle europee della maestra sotto processo non è che l’ultimo upgrade. Ora per Forti, una volta terminato il 26esimo anno di detenzione, potrebbero aprirsi le porte della libertà vigilata. E sempre l’ex consulente Tirelli non esclude un provvedimento di grazia, che “potrebbe risolvere la questione della corretta applicazione del trattato internazionale”. A quel punto per Forti resterebbe da compiere solo lo step successivo: l’ingresso in politica.
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