Prime elezioni libere in Sudan. Forse

Pubblicato il 17 Aprile 2010 alle 13:19 Autore: Redazione
bashir, sudan

Tutto sembra cristallizzato e immobile, in attesa dei risultati di una tornata elettorale storica, a distanza di 24 anni dall’ultima, messa in agenda dall’accordo comprensivo di pace del 2005 / di MIRKO TRICOLI

L’accordo pose formalmente fine alla ventennale guerra tra il nord a maggioranza araba-musulmana e il sud prevalentemente animista e cristiano.

Sono in pochi a mettere in discussione la vittoria e la legittimazione politica dell’attuale presidente Omar Hassan El-Bashir (nella foto), giunto al potere nel 1989 con un colpo di stato, sul quale pende un mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità, sancito dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja.

Questa tesi si è rafforzata quando, a pochi giorni dall’inizio delle consultazioni, i principali partiti di opposizione hanno deciso di boicottare le elezioni, accusando El-Bashir di irregolarità durante la campagna elettorale e di poca trasparenza nella preparazione delle schede e dei seggi. I candidati del Movimento di liberazione del Sud Sudan, Yasir Arman, e del partito conservatore Umma, Al-Sadiq Al-Mahdi, erano considerati gli unici in grado di impensierire l’attuale presidente, nonostante si fossero presentati 11 candidati presidenziali, tra cui una donna, Fatima Abdel-Mahmood, dell’Unione dei socialisti democratici.

Oltre al Presidente, i 16 milioni di cittadini chiamati a votare, dovranno eleggere i 450 membri dell’Assemblea nazionale, 25 governatori statali, i membri delle relative assemblee. Inoltre nel Sud Sudan, regione semi-autonoma, si voterà anche per il presidente del governo locale e dei 171 membri dell’Assemblea.

Queste consultazioni non potranno essere analizzate senza prendere in considerazione un altro importante appuntamento dell’agenda politica del paese, anche in questo caso previsto dall’accordo di pace, il referendum previsto per il gennaio 2011, tramite il quale i popoli del Sudan meridionale sceglieranno se dar vita o no ad un nuovo stato autonomo e indipendente.

Per gli analisti politici, la probabile vittoria di El-Bashir, e la conseguente legittimazione politica che ne deriverebbe, può essere considerata come una sorta di scambio, nella logica del do ut des, in grado di accontentare entrambe le parti in causa: al nord le elezioni e la presidenza del paese, al sud il referendum e l’autodeterminazione. Nei prossimi mesi sarà più facile capire se l’apertura dell’attuale governo sia solo uno strumento di campagna elettorale oppure no.

 


Mirko Tricoli scrive sul Caffè Geopolitico

 

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