Le elezioni europee in 10 punti: commenti al voto
Le elezioni europee in 10 punti: commenti al voto
Disclaimer: questo è un articolo di opinione che riflette l’idea personale dell’autore e che non ha subito alcuna revisione o modifica da parte di Termometro Politico.
Vediamo nel dettaglio come sono andate le cose, potremmo dire “col senno di poi”. Questa è una analisi più qualitativa che quantitativa. Una analisi sui freddi numeri sarà pubblicata a breve, per ora ci limitiamo a una serie di osservazioni.
Le elezioni europee in 10 punti: commenti al voto
1) L’affluenza scende per la prima volta in Italia sotto il 50% in una tornata elettorale di livello nazionale. Altri grandi paesi come Francia e Germania hanno visto un aumento della affluenza. Nel complesso in tutta la comunità europea l’affluenza al voto è cresciuta. Se non è un campanello d’allarme questo non so quale altro possa esserlo;
2) La Meloni ha avuto un grosso successo personale. E’ evidente che lei come persona piace agli italiani, infatti ha preso più voti di quanti ne prese Salvini nel 2019, sebbene 5 anni fa la Lega abbia preso una percentuale nettamente superiore rispetto a Fratelli d’Italia adesso, e l’affluenza fosse stata più alta;
3) Il PD mostra segni che potrebbero essere interpretati come inversione di tendenza rispetto al passato. Questo potrebbe fare pensare a una nuova vitalità politica quando molto più semplicemente hanno fatto bene le liste elettorali riempiendole di candidati forti come Decaro, Bonaccini, Strada, Annunziata ecc.
E’ sempre un merito quello di saper scegliere i candidati, ma va detto che il PD attuale non ha alcun messaggio politico di rilievo che lo distingua dagli altri partiti. La questione del PD merita un discorso a parte che sarà fatto in un altro pezzo, ma una cosa si può dire: se fino a qualche tempo fa c’era un dubbio su quale fosse la forza principale di opposizione ora non c’è più;
4) C’è stato il sorpasso di FI sulla Lega. E’ stata strategicamente azzeccata l’alleanza con Noi Moderati, che ha aggiunto quel punto in più che ha fatto la differenza. Se non avessero fatto la lista comune FI sarebbe rimasta, quasi certamente, leggermente sotto la Lega. L’azzardo di lasciare il nome di Berlusconi nel simbolo, sebbene abbia scatenato meme divertenti sui social alla fine è stata vincente. Bisogna considerare che FI è stata sempre debole alle elezioni europee, tranne che nel 1994 era sempre andata peggio che alle politiche precedenti. Stavolta ha sfatato un tabù che durava da decenni, bisogna comunque dargliene atto;
5) Si registra il buon successo dei verdi e sinistra, però guardando anche al passato i verdi hanno sempre fatto meglio di quanto si pensasse alle elezioni europee da quando esistono, e poi hanno anche loro messo candidature con grande visibilità come la Salis e Mimmo Lucano;
6) il filo conduttore che riscontriamo nei punti precedenti è che la chiave per un buon risultato sono state le candidature. Non solo i nomi citati ma anche altri, come quello di Vannacci (che ha preso oltre 550.000 voti ed è il secondo più votato dopo la Meloni che ha superato ampiamente i 2,5 milioni di voti personali) ed altri. Quindi mai come questa volta si può dire che i singoli hanno fatto la differenza;
7) Il M5S scende, anche se di poco, per la prima volta sotto la soglia psicologica del 10% in una elezione di carattere nazionale. Certo alle Europee non ha mai fatto grandi risultati, pero non era mai scesa così in basso. Il tema della guerra evidentemente non è stato determinante per la scelta del voto, altrimenti essendo l’unica forza politica, tra le più importanti, contro l’invio di armi in Ucraina avrebbe raccolto molti più voti.
Queste elezioni sembrano certificare la chiusura di un’epoca che nasce nel 2013. Nel 2013 infatti tutti i sondaggi davano il 5 Stelle intorno al 20% e prese 5 punti in più. La coalizione di Bersani era data al 34-35% e prese esattamente 5 punti in meno. Stavolta è successo l’esatto opposto, per la prima volta.
Il M5S era dato in media 4-5 punti in più di quanto ha preso realmente e il PD era dato 4-5 punti in meno.
Possiamo dire che questo cerchio si è chiuso, d’altro canto se si sa che queste due forze politiche si dovranno alleare molti che avevano votato M5S provenendo da sinistra saranno tornati a votare PD;
8) Renzi e Calenda vanno separati e restano a bocca asciutta entrambi. Non si riesce a capire quali siano le differenze tra questi due partiti, e non si capisce perché siano andati separati, a differenza di 2 anni fa quando presero insieme un ragguardevole 7,78% al quale andrebbe aggiunto il 2,83% della Bonino per un totale potenziale di oltre il 10%. Ma si sa che in politica spesso 2+2 non fa 4, e queste divisioni, che sembrano motivate solo dall’egocentrismo e dal narcisismo delle due primedonne, hanno portato al peggiore dei risultati per entrambi;
9) Risultati deludenti per i partiti del “dissenso”, non perché in Italia non esista il dissenso, ma perché il dissenso oramai per lo più si astiene. Giravano notizie completamente false a proposito della astensione che riguardavano un fantomatico articolo 50. Secondo questa leggenda metropolitana in caso di affluenza molto bassa sarebbe scattato un referendum per uscire dall’euro o dalla UE, o da entrambe a seconda delle versioni. In rete e sui social girano le scemenze più assurde che trovano spesso terreno fertile tra chi ha perso fiducia in questo sistema (mancanza di fiducia assolutamente comprensibile, sia chiaro).
Il vero problema per questi partiti è strutturale: i partiti devono creare il consenso, se pensano di fare voti partendo dal dissenso sbagliano in partenza. Trasformare una attitudine al dissenso come consenso stabile è estremamente difficile e la delusione causata in molti dalla parabola dei 5 Stelle li ha spinti verso l’astensione, non alla scelta di un altro partito. Anche per questo gruppo di partiti e movimenti vale quanto detto sopra a proposito della guerra: non è stato un tema determinante per la scelta del voto.
Chi fa della contrarietà alla guerra il proprio punto principale avrà pensato che con l’astensione dava un messaggio più forte che votando per un partito piccolo;
10) ultimo punto, ma probabilmente il più importante, il risultato italiano non inciderà praticamente nulla in nessun caso. Lo stesso parlamento europeo, che ricordiamolo non ha il potere di sfiduciare la Commissione che di qui a poco verrà creata, conta piuttosto poco comunque. Gli equilibri europei non vengono toccati dai risultati di un paese, nemmeno se è piuttosto grosso. Nemmeno l’exploit della Le Pen in Francia o della destra in Germania, o di Vox in Spagna sembrano poter scalfire l’inevitabile riproposizione della maggioranza “Ursula”. Il sistema è talmente paludato, per sua stessa struttura, che ha la fluidità del catrame. In una elezione nazionale è possibile vedere risultati eclatanti, come quello della Le Pen in Francia, mentre nel parlamento europeo tutto sembra immobile dando all’elettore la percezione che il suo voto non cambierà comunque nulla nella sostanza.
Per dirla in poche parole: per come è strutturata questa comunità europea adesso, queste elezioni non possono mai regalare alcuna sorpresa. D’altronde è stata disegnata da politicanti per essere il paradiso dei burocrati e dei tecnocrati, il cittadino europeo partecipa ad un gioco sostanzialmente truccato.
La grande finanza internazionale decide le scelte economiche di ogni paese, attraverso la manipolazione di “spread” e “ratings”, decisi a tavolino dai grossi squali della speculazione. Le grandi multinazionali del sistema militare industriale internazionale decidono quali guerre devono essere fatte e contro chi. I politici ed i media principali obbediscono e ripetono le parole d’ordine, ricevute da costoro senza fiatare.
Per i cittadini comuni non c’è spazio, se mai c’è stato. Quanto potrà durare questo sistema progettato in questo modo? Nessuno ha la risposta a questa domanda, quindi non ha senso avventurarsi in previsioni.
L’unica cosa che resta da dire è:
“Pure queste elezioni europee se le semo levate dalle palle”
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