Non ce ne frega un cazzo della maturità

In un Paese ancora pervaso da pulsioni tardo-adolescenziali trova spazio un grande topos del dibattito pubblico nostrano come la maturità, contrariamente a quanto avviene all'estero, dove questo passaggio - anche se svolto con modalità diverse - viene considerato per quello che è, cioè una delle varie tappe che scandiscono il percorso didattico, e per questo priva di quell'aura sacrale che le viene attribuita dal sistema culturale e mediatico italiano.

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Ci siamo, è arrivato quel periodo dell’anno. I social pullulano di aneddoti non richiesti e di “in bocca al lupo” ai ragazzi; telegiornali e siti trattano un annuale appuntamento del calendario scolastico con la stessa enfasi che si riserverebbe a una nevicata a Pizzo Calabro il 15 di agosto; Antonello Venditti è il più felice di tutti e si frega le mani, perché sa che anche stavolta la Siae lo omaggerà con un bonifico superlativo. Lo avete capito, sto parlando dell’esame di maturità, argomento di cui in Italia non frega niente a nessuno se non a quattro tipologie di persone: gli studenti, gli insegnanti che compongono la commissione d’esame (per loro, la maturità è l’ultimo ostacolo che li separa dal più lungo periodo di ferie al quale un lavoratore italiano possa ambire), i genitori degli esaminandi e i giornalisti che periodicamente si ritrovano a scrivere di questa tematica, spesso loro malgrado. Stop. Non esiste altra categoria umana o professionale, eccezion fatta per i feticisti della materia o gli inguaribili nostalgici, che sia minimamente interessata a scoprire se quest’anno i ragazzi del Classico si cimenteranno nella versione di greco o di latino (se non è zuppa è pan bagnato), se alla prima prova è uscito Ungaretti o Montale, se il problema di matematica era difficile. 

In un Paese ancora pervaso da pulsioni tardo-adolescenziali trova spazio un grande topos del dibattito pubblico nostrano come la maturità, contrariamente a quanto avviene all’estero, dove questo passaggio – anche se svolto con modalità diverse – viene considerato per quello che è, cioè una delle varie tappe che scandiscono il percorso didattico, e per questo priva di quell’aura sacrale che le viene attribuita dal sistema culturale e mediatico italiano. Alla costruzione di questa ridondante mitologia hanno contribuito molti prodotti della cultura di massa, in primis la sempiterna canzone “Notte prima degli esami” del sopracitato Venditti, a cui sono ispirati l’omonimo film di Fausto Brizzi, il suo sequel e una miniserie prodotta da Rai Fiction. Riferimenti alla maturità si possono trovare anche in film come “Ecce Bombo” di Nanni Moretti, “Ovosodo” di Paolo Virzì, “Che ne sarà di noi” di Giovanni Veronesi, il terribile “Tre metri sopra il cielo” di Luca Lucini fino ad arrivare a “Immaturi” di Paolo Genovese, in cui un gruppo di ex studenti è costretto a distanza di anni a ripetere l’esame di maturità, incubo ricorrente – secondo una ricerca realizzata nel 2019 da Guida Psicologi – per 6 italiani su 10, forse tormentati dalla mole di notizie inutili che ciclicamente inondano i loro smartphone. 

Allo stuolo di vip impazienti di aprire il cassetto dei ricordi quest’anno si sono aggiunti, tra gli altri, Cristina D’Avena, Massimo Boldi e Vladimir Luxuria. Le rotative si sono fermate dopo la seguente dichiarazione della conduttrice transgender a proposito del suo esame di maturità: “Devo dire che non ero particolarmente angosciata, perché io non sono una che si riduce all’ultimo, come fanno tanti. Sono molto precisina, forse perché sono ascendente Vergine”. Avrebbe “sorpreso e commosso” gli studenti, secondo alcuni siti, il grafico a forma di cuore nascosto nella prova di matematica: molto cinicamente, mi ritengo abbastanza sicuro del fatto che questa cagata non abbia fatto commuovere un solo maturando. Merita un discorso a parte il tema di italiano, che in questa sessione offriva come opzioni testi di Ungaretti, Pirandello, Rita Levi Montalcini e brani incentrati su argomenti come la bomba atomica, il digitale e il silenzio. Alla fine però la traccia più gettonata dagli studenti è stata quella su selfie e blog, indicazione non trascurabile nel Paese dei Ferragnez e coerente con i gusti della generazione Z dove proliferano tiktoker in erba e aspiranti onlyfanser. 

Due parole andrebbero spese anche sui famosi “collegamenti” chiesti dai professori agli alunni per le loro tesine: se da un lato spronare gli studenti ad avere uno sguardo d’insieme sul percorso di studi e a non ragionare a comparti stagni è un’indicazione utile per sviluppare una mente aperta, d’altra parte una pedissequa applicazione di questa direttiva potrebbe produrre un certo smarrimento nel maturando, qualora quest’ultimo fosse chiamato a trovare un nesso tra le funzioni goniometriche e l’opera di Umberto Saba. 

Se davvero vogliamo parlare di maturità, forse è il caso di mettere al bando digressioni sentimentali e riflettere su qualche dato interessante quanto allarmante. Gli esami dello scorso anno, il 2023, hanno segnato il ritorno alle modalità di svolgimento pre-Covid (due prove scritte e un colloquio orale) ed è indubbio che la pandemia abbia influito in maniera pesantemente negativa sull’apprendimento dei ragazzi. Secondo un’indagine dell’osservatorio “Con i bambini” il 52% degli studenti del quinto superiore nel 2022 ha sviluppato un livello di competenza in italiano almeno adeguato, mentre nel 2019 – l’anno prima del Covid – la percentuale era pari al 64%. I dati peggiori si registrano al Meridione: i 14 capoluoghi dove oltre 1/3 degli studenti dell’ultimo anno ha ottenuto il risultato più basso in italiano sono tutte città del Sud e delle Isole. Il sito dell’osservatorio sottolinea inoltre come nelle prove Invalsi del 2023 siano “risultati evidenti i divari tra gli alunni in termini di competenze acquisite”: si tratta di divari “spesso sovrapponibili alla condizione di partenza e agli squilibri socio-economici, culturali e territoriali che caratterizzano il Paese”, viene spiegato. 

Ma se con il Covid le competenze degli alunni si sono abbassate, i loro voti sono contestualmente saliti. “Pagella Politica” ha rielaborato i dati forniti dal Ministero dell’Istruzione e fa notare che negli ultimi quattro anni è aumentata la percentuale di studenti diplomati con 100 o 100 e lode, mentre è scesa quella con le valutazioni più basse: nel 2023 usciva dalle superiori con 100 o 100 e lode il 10% degli studenti, negli anni pre-Covid erano circa il 7%. Stiamo parlando, in ogni caso, di un esame dove la bocciatura è statisticamente quasi impossibile. Negli ultimi tre anni infatti la percentuale di ragazzi ‘segati’ alla maturità è stata pressoché irrisoria, parliamo dello 0,2% (fonte skuola.net per Il Sole 24 Ore). E darsi da fare per ottenere un buon voto ha senso solo sul piano della gratificazione personale, visto che il punteggio finale della maturità non viene considerato ai fini dell’accesso a un corso di laurea. Per concludere: gli esami non finiscono mai, è vero. Speriamo solo che la finiscano di assillarci con il mito della maturità.

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