L’irrilevanza di Meloni e i peli della Rackete: cartoline da Bruxelles
L’irrilevanza di Meloni e i peli della Rackete: cartoline da Bruxelles
Disclaimer: questo è un articolo di opinione che riflette l’idea personale dell’autore e che non ha subito alcuna revisione o modifica da parte di Termometro Politico.
La partita per il rinnovo dei vertici UE si è chiusa nei giorni scorsi con la magra figura rimediata dall’Italia, unico dei 27 Paesi dell’Unione a non votare per nessuna delle tre figure indicate per i cosiddetti top jobs e dunque condannato all’irrilevanza, tra gli strepiti di Giorgia Meloni. Ma la settimana appena trascorsa è anche quella che ha visto il debutto nelle istituzioni europee di alcuni dei personaggi più incredibili e farseschi che la sinistra italiana ed europea abbiano partorito negli ultimi decenni: parliamo della cacciatrice di nazisti Ilaria Salis, del sindaco di Riace e paladino dei migranti Mimmo Lucano e dell’attivista tedesca Carola Rackete, balzata agli onori delle cronache nel 2019 per aver condotto nel porto di Lampedusa 42 migranti a bordo della nave di salvataggio “Sea-Watch 3” forzando il blocco imposto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. La foto che immortala i nuovi Avengers della cultura woke – tre patetiche figurine del progressismo nostrano – nel loro primo giorno di scuola al Parlamento europeo ha scatenato un nutrito dibattito sui social e sulla stampa, soprattutto per ragioni estetiche. Ma di questo parleremo in seguito.
Prima, tocca dire un paio di cose sulla performance sfoderata dalla nostra premier in occasione del summit di Bruxelles del 27 e 28 giugno, che aveva all’ordine del giorno l’assegnazione dei tre incarichi apicali della UE. Il pacchetto di nomine partorito dall’accordo tra il Partito popolare europeo – vincitore delle ultime elezioni e quindi titolato a dare le carte -, i socialisti del cancelliere tedesco Scholz e i liberali del presidente francese Macron prevedeva la riconferma di Ursula von der Leyen (PPE) alla guida della Commissione e la designazione del portoghese Antonio Costa (socialista) e della estone Kaja Kallas (liberale) rispettivamente come presidente del Consiglio europeo e Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione. Dopo aver tuonato in Parlamento contro i “caminetti” e contro i “gruppi dirigenti” europei colpevoli di aver escluso l’Italia dal grande banchetto e di non aver tenuto in considerazione il responso delle urne, Meloni ha optato per l’astensione su von der Leyen e votato contro Costa e Kallas al termine di un Consiglio europeo che si preannunciava come un braccio di ferro estenuante ma conclusosi di fatto dopo una sola giornata di lavori con il via libera ai tre top jobs.
Una chiara e netta manifestazione di impotenza e di irrilevanza quella di Meloni, costretta a registrare defezioni anche all’interno della sua stessa famiglia politica di ECR: il premier ceco Petr Fiala infatti si è sfilato e ha espresso parere favorevole alle tre nomine. E persino il grande “puzzone” sovranista Viktor Orban, trattato come una specie di paria dai colleghi del Consiglio europeo, ha votato a favore di Costa: tra l’altro il primo ministro ungherese ex Ppe dopo aver detto no all’ingresso in ECR è ora in procinto di creare un nuovo gruppo di ultra-destra con i polacchi del PIS, i quali potrebbero presto salutare il gruppo dei Conservatori facendogli perdere la terza posizione come compagine più numerosa all’interno del Parlamento Ue. L’astensione sul bis di Ursula al vertice della Commissione UE – nomina che dovrà passare per un voto dell’Eurocamera – è il tentativo quasi disperato di Meloni di alzare la posta per trattare una vicepresidenza e un commissario con deleghe pesanti per l’Italia. Ma l’esito di questa mossa è tutto da vedere e il rischio dell’ennesimo euro-bidone è dietro l’angolo.
Tutto ciò che la premier italiana ha saputo fare una volta calato il sipario sul vertice di Bruxelles è stato urlare al mondo la sua marginalità, in ossequio a quel “molti nemici molto onore” caro a molti membri del suo partito: “Penso che il ruolo dell’Italia non sia quello di aspettare quello che fanno gli altri e accodarsi. La leadership è quando qualcuno si accorge che tu esisti”. Parole intrise di vittimismo e revanscismo di chi non è mai uscita dal ruolo di “underdog” e non ha ancora indossato i panni del presidente del Consiglio della terza economia e seconda manifattura del Continente. I bisticci con Scholz, le occhiate truci rivolte al presidente della Francia durante il G7 sono comportamenti adatti a una militante della sezione MSI di Colle Oppio, non a un capo di governo. Lo stesso livore grondava da Meloni quando, a margine dell’euro-summit, le è stato chiesto di commentare l’inchiesta di Fanpage sulle “svastichelle” che popolano Gioventù nazionale, il movimento giovanile di FdI. E anche in questo caso, chiusa nella sua trincea mentale, la leader di Fratelli d’Italia ha preferito prendersela con i giornalisti chiamando in causa addirittura il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per denunciare “metodi da regime” ai danni del suo partito. Uno spettacolo davvero poco edificante.
All’istantanea di Meloni con lo sguardo torvo alla fine del vertice si aggiunge quella già citata di Salis, Lucano e Rackete in tenuta da villeggiatura al Parlamento UE. Molto si è detto sulle gambe irsute dell’ambientalista tedesca eletta col partito della sinistra radicale Die Linke – e non intendo aggiungere altro per non cadere nel body shaming -, sul vestitino a fiori e i sandali con zeppa indossati dalla Salis (una “cameriera di Catanzaro”, cit. Vittorio Feltri) e sulla polo rossa da benzinaio sfoggiata dal sindaco di Riace. Resta impressa la totale sciatteria di questi tre figuri, sintomo di una sfacciata mancanza di rispetto verso le istituzioni in cui sono chiamati a portare la voce dei loro elettori. Una trasandatezza che è lo specchio della loro imbarazzante offerta politica: e chissà se qualche militante di AVS si è già pentito della preferenza accordata alla Salis dopo aver toccato con mano il vuoto cosmico delle prime dichiarazioni pubbliche rilasciate dall’attivista sarda, che tra denunce per aggressione in Ungheria e presunti debiti nei confronti di Aler per occupazione abusiva di case popolari, sembra interessata a difendere la sua immunità parlamentare dalla revoca chiesta da Budapest più che i diritti delle categorie che dice di voler rappresentare. Meloni & Co dovrebbero accendere un cero a questa gente: sono la loro migliore assicurazione sulla vita.
CLICCA QUI PER LEGGERE TUTTI GLI ARTICOLI DI OPINIONE DI CARLO TERZO
SEGUI TERMOMETRO POLITICO SU FACEBOOK E TWITTER
Hai suggerimenti o correzioni da proporre? Scrivici a redazione@termometropolitico.it