5 (s)punti sul risultato delle elezioni in Francia
5 (s)punti sul risultato delle elezioni in Francia
Disclaimer: questo è un articolo di opinione che riflette l’idea personale dell’autore e che non ha subito alcuna revisione o modifica da parte di Termometro Politico.
Anche nell’analisi a posteriori e col senno di poi, c’è sempre margine per l’incertezza e per l’interpretazione. Il secondo turno delle legislative francesi è stata una sconfitta di Marine Le Pen? Una vittoria di Macron? Della sinistra agglutinata attorno a Mélenchon? E chi ci guadagna di più da questo nuovo scenario? Sono tante le variabili, tante le domande. Proviamo, più che a dare risposte, a offrire qualche spunto di riflessione.
1. La strategia dell’isolamento funziona (ancora) ma solo dove c’è il pieno riconoscimento della nuova destra
Partiamo dal dato più difficile da controbattere: il secondo turno delle legislative francesi ha visto la sconfitta di Marine Le Pen. Lo straordinario tesoretto accumulato l’8 e 9 giugno e con la prima tornata delle legislative, si è disciolto proprio sul più bello, relegando il Rassemblement National in terza posizione, dietro al Fronte Popolare (182 deputati) e Ensemble (168 deputati) pur essendo arrivata prima nel computo dei voti assoluti (oltre 9 milioni di preferenze). Si tratterà, comunque, della seconda forza – al netto delle coalizioni – del Parlamento francese. Ma questo è un po’ troppo poco, considerate le premesse.
Il dato che sembra abbia spinto verso il basso l’ultradestra guidata da Marine Le Pen è la forte attivazione dell’elettorato, messo in moto dalla coalizione di sinistra e dallo stesso Emmanuel Macron. La paura della deriva fascista – a torto o ragione – sembra attecchire fortemente in un Paese con alta presenza di migranti e milioni di figli di Francia di seconda generazione. Il partito di Marine Le Pen viene riconosciuto come ultradestra e accettato come tale. In questo quadro, il richiamo alla deriva antidemocratica si fa più forte e convincente. Si tratta, questa, di una differenza sostanziale rispetto al contesto italiano, dove Fratelli d’Italia e Lega vengono ancora inseriti nell’alveo del centrodestra. La tonica è diversa: la neofascista Le Pen è un’altra cosa rispetto alla conservatrice Meloni e al nazionalista Salvini* (anche se quest’ultimo appartiene alla stessa famiglia europea della leader di RN).
*Si sono usati i termini utilizzati più frequentemente per descrivere i leader sopracitati.
2. Renzi come Fassino
Sappiamo benissimo che la sibilla cumana italica e “scherzosa” (in quanto predice l’esatto opposto di ciò che avverrà) è senza dubbio alcuno Piero Fassino. La più celebre profezia riguarda l’irrisorietà di un eventuale partito di un noto comico italiano. Beppe Grillo lo starà ancora ringraziando. Ma se l’ex sindaco di Torino ci ha largamente abituato a queste sue previsioni al contrario, si fa largo il nuovo che avanza: Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva, ultimamente superato nei sondaggi anche da Michele Santoro (senza che questi abbia nemmeno messo su un vero e proprio partito) aveva assicurato che la sinistra, per vincere, dovesse sfondare al centro. Solo due giorni dopo, un’onda rossa e verde travolge in Francia e, al netto delle possibilità di governare, si mostra come prima forza del Paese. E lo fa con Mélenchon alla testa, ostracizzato e demonizzato dai centristi di tutta Europa e che nella giornata di ieri ha, di fatto, provocato più di una fibrillazione ai commentatori di destra.
È vero che Ensemble ha tenuto botta e Macron è riuscito, ancora una volta, a salvarsi, ma pensare che il centro e la sinistra possano davvero sommare mostra una capacità di analisi decisamente limitata.
Aggiungiamo: chiunque accetti dei compromessi da un lato (sinistra) e dall’altro (centro liberale) per giungere alla formazione di un nuovo governo, potrebbe essere presto penalizzato. Un mexican stand-off di difficile risoluzione.
3. La sinistra ha margine, ma….
Il risultato delle elezioni francesi, con la vittoria della coalizione di sinistra trainata prevalentemente da Mélenchon, mostra quanto margine ci sia per insistere in quell’area. Il motivo principale risiede nell’urgenza di alcune tematiche da affrontare, che sono decisamente favorevoli per l’area progressista e socialista. Abbiamo il ripudio della guerra (sui due fronti, ucraino e palestinese) e il sostegno maggioritario (ma silenziato) alla Palestina contro il genocidio perpetrato da Israele. C’è una questione economica estremamente urgente, con l’inflazione che finalmente rallenta ma che ha lasciato strascichi enormi dietro di sé. E questo succede in tutta Europa, al di là delle dinamiche nazionali. La lotta alla povertà si perpetra con l’aumento dei salari e la garanzia di diritti lesi sempre di più, come quello all’abitazione. Infine, la crisi climatica è percepita come tale dalla stragrande maggioranza della popolazione. Ancor di più, tra i più giovani. Tutte tematiche che guardano al futuro e a cui la sinistra può rispondere con maggior convinzione rispetto alla controparte conservatrice. Aggiungo, rifacendomi al punto precedente, che l’unione di sinistra e centro liberale altera la visione, l’orizzonte a cui si aspira come società. A quel punto, perché rovinare il quadro buttandoci della vernice sopra? Sì, ci saranno più colori, ma il risultato sarà di gran lunga peggiore. C’è da dire, però, che fin quando la sinistra non avrà fatto quel passo, quel salto necessario…
4. … Le nuove destre avranno sempre maggior peso e maggior consenso, fintanto che non ci sarà un cambio di rotta
Ancora una volta, Marine Le Pen si è avvicinata notevolmente al traguardo, pur cadendo sul finale. Eppure, è evidente come la spinta che viene da destra sia tanto più forte quante sono le criticità percepite a livello nazionale ed europeo. Cosa significa? Che le nuove destre, negli ultimi anni, hanno capitalizzato molto meglio le istanze sociali, facendo leva sull’indignazione e sulla rabbia. La sapiente gestione e canalizzazione di questa emozione primaria ha funzionato, allo stesso modo, come una spia di tutto ciò che non va e su cui bisognerebbe lavorare. Alle europee, sono stati castigati i partiti maggiormente a favore dell’intervento militare o del sostegno attivo all’Ucraina. In parte, anche per chi non condanna il genocidio in palestinese. Guerre che hanno attivato e sostenuto dei forti meccanismi inflattivi e che hanno peggiorato la condizione di vita di tante persone, che hanno visto ridotto il loro potere d’acquisto nel giro di pochissimi anni.
La risposta data da destra è relativamente semplice e organica. È vista come una soluzione coerente, quella di tornare alle sovranità nazionali come panacea di tutti i mali. Sovranità nazionale e della nazione, esplicitata spesso con una determinata connotazione etnica. Il ritorno al passato di quando si stava meglio, un’epoca dorata.
5. I francesi sono un esempio di cittadini democratici
Che possa piacere o meno per la sua storia, la sua politica interna o estera, queste elezioni hanno confermato per l’ennesima volta quanto il popolo transalpino sia realmente interessato e pienamente coinvolto nelle dinamiche politiche del Paese. La storia rivoluzionaria si è trasformata nel tempo ma ha mantenuto un carattere essenziale: quello della vitalità, della ribellione, che ricorda che il patto tra Governo e cittadini va rinnovato ogni giorno e non solo ogni quattro o cinque anni. Al di là di chi vinca o perda, i cittadini francesi impongono ai loro politici di rendere conto del loro operato, più spesso e più in profondità. E al maggior interesse dei cittadini deve così corrispondere, necessariamente, un maggior interesse e solerzia da parte dei governanti nel rispondere. E questo favorisce la cittadinanza, tutta.
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