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Le premesse per un fragoroso disastro c’erano tutte. L’iceberg era lì, bello visibile dalla tolda di comando. Eppure, assistere al naufragio della nave 5 Stelle desta stupore per le modalità con cui il redde rationem si sta consumando. Oltre a regalare momenti di assoluta ilarità. Per chi non fosse aggiornato sulla telenovela che vede protagonisti Beppe Grillo e Giuseppe Conte, alle prese da mesi con una ‘scazzottata’ senza esclusione di colpi, riassumo brevemente la questione. Dopo il flop delle ultime elezioni europee, il leader 5 Stelle ha lanciato una “assemblea costituente” per ridare smalto al Movimento e provare a frenare l’emorragia di consensi, visto che ormai il M5S non lo votano più nemmeno i parenti dei parlamentari pentastellati. Piccola parentesi: il regolamento architettato per questa pantomima è una delle masturbazioni più cervellotiche mai concepite dalla mente umana; se non ci credete, FATEVI UN GIRO QUI muniti di un analgesico.
Nell’idea di Conte, l’assemblea degli iscritti potrà esprimersi su temi decisivi per il futuro del Movimento (come la collocazione politica) e su questioni fondamentali come il cambio del simbolo e l’abolizione della regola dei due mandati, chiesta a gran voce da una classe dirigente di miracolati che spera di continuare a occupare gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama senza l’assillo di doversi misurare col mondo del lavoro.
Dal canto suo Grillo, che in quanto “garante” (qualunque cosa ciò voglia dire) si ritiene interprete insindacabile dei dettami statutari e “custode dei valori fondamentali dell’azione politica” del Movimento, non ha alcuna intenzione di vedersi strappare il giocattolo dalle mani e si oppone strenuamente alla rifondazione targata Conte, diffidando l’ex presidente del Consiglio dal mettere in votazione sulla piattaforma la modifica del logo M5S e l’abrogazione della norma che vieta agli eletti di fare più di due mandati. Regola che, peraltro, è stata già parzialmente rivista quando sotto la guida di Luigi Di Maio fu introdotto il famigerato “mandato zero”, ovvero la possibilità di non conteggiare il mandato svolto come consigliere comunale. Perché nella storia del Movimento 5 Stelle è andata quasi sempre così: i totem “inscalfibili”, le regole auree diventano un po’ meno granitiche quando si tratta di adattarle alla convenienza del momento. Lo abbiamo visto anche con la questione del finanziamento pubblico, una delle tante bandiere grilline ammainate.
Uno dei tratti distintivi del M5S è stato per anni il rifiuto sistematico del tanto vituperato denaro pubblico: “Noi ci finanziamo con le micro-donazioni dei nostri militanti!” il mantra di Grillo e Gianroberto Casaleggio. Addirittura nel 2013 i grillini votano contro la legge sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti – voluta dall’allora governo Letta per inseguire il M5S sul suo stesso terreno ed erodere consenso a Grillo – considerandola poco incisiva. A un certo punto della loro storia però i 5 Stelle scoprono che per fare politica servono i soldi. Tanti soldi. Sicuramente più di quei quattro spicci incassati grazie alle donazioni dei simpatizzanti e alle restituzioni dei parlamentari, sempre più restii a mettere mano al portafogli. Così nel 2021, con Giuseppe Conte capo politico, optano per la svolta dicendo sì all’iscrizione nel registro dei partiti politici per usufruire del 2×1000.
Il 2023 è il primo anno in cui il Movimento partecipa alla raccolta di questa forma di finanziamento e il partito di Conte si porta a casa un bel gruzzolo, 1,8 milioni di euro. Fondi che, in parte, servono a onorare la consulenza da 300mila euro l’anno che il M5S ha affidato a Beppe Grillo nel 2022. Questo ricco contratto in teoria impegna il comico genovese a fornire “attività di supporto nella comunicazione con l’ideazione di campagne, promozione di strategie digitali, produzione video, organizzazione eventi, produzione di materiali audiovisivi per attività didattica della scuola di formazione del Movimento, campagne elettorali e varie iniziative politiche”. Dico ‘in teoria’, perché nella pratica non sono pochi all’interno del M5S a chiedersi se Grillo stia effettivamente adempiendo ai suoi obblighi contrattuali o se la cospicua somma riconosciuta al garante non sia, in realtà, un ‘premio alla carriera’ del fondatore: un bacio alla pantofola dell’Elevato, che dopo aver sacrificato una parte della propria vita per il Movimento vuole garantirsi una pensione più che dignitosa.
Di certo, con le sue bordate contro la leadership di Conte adesso Grillo rischia di mettere a repentaglio anche il suo pingue assegno: l’ex inquilino di Palazzo Chigi ha già minacciato di cancellargli il maxi contratto se lo stillicidio di dichiarazioni dovesse proseguire. E sarebbe un bel contrappasso per Beppe l’epuratore – mandante di decine e decine di espulsioni di dissidenti, veri o presunti – venire epurato a sua volta dall’uomo che più di tre anni orsono fu chiamato a guidare il M5S con i crismi del salvatore della patria. Il Movimento che faceva la morale a tutti e rompeva le palle sui finanziamenti e su quanto fosse indispensabile introdurre un tetto ai mandati elettivi rischia dunque di implodere proprio a causa di una lite su soldi e poltrone, mentre imperversa il “dissing” tra Conte e Grillo, i Fedez e Tony Effe della politica. I popcorn sono pronti, non resta che goderci lo spettacolo.
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