Col turno unico non è vera democrazia

Pubblicato il 9 Febbraio 2025 alle 17:09 Autore: Redazione
turno unico

Col turno unico non è vera democrazia

Si fa spesso un gran parlare di cosa possa migliorare la politica italiana, di cosa possa guarirne i mali atavici, ed ognuno ha la sua ricetta in merito. Alcuni individuano il problema nell’astensionismo, che interpretano come un male, e non è affatto detto che abbiano ragione. L’astensionismo è infatti un dato tipico di sistemi politici de-ideologicizzati, come se fossero di più le persone capaci di sognare le ideologie che quelle in grado di confrontarsi con proposte più realizzabili. Un esempio è il sistema politico USA, forse il più de-ideologicizzato di tutti, in cui vota da lungo tempo circa il 50% degli aventi diritto, senza che nessuno lo viva come una minaccia o uno scandalo. Altri, come coloro i quali non sono contrari al progetto di riforma istituzionale che mira al premierato, lo ravvisano invece nei governi non direttamente espressione di un mandato elettorale, per quanto anch’essi pienamente legittimi finché hanno la fiducia del parlamento, poiché in un sistema parlamentare come quello italiano, le elezioni servono ad eleggere il parlamento, e lì si formano i governi. Sul punto specifico, ognuno ha le sue idee, più o meno condivisibili, anche chi fa notare che i governi scelti dai presidenti della repubblica, e dotati di un’ampia base parlamentare, anche oltre i confini degli schieramenti politico-elettorali, sono stati tra quelli che più ci hanno permesso di far quadrare i conti. Non solo nel breve ma anche nel medio-lungo periodo, varando riforme strutturali.

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Un problema invece abbastanza oggettivo, su cui poco, francamente, si può opinare, è la carenza a livello di sistema elettorale. Il notevole difetto del turno unico maggioritario, infatti, è quello di accontentarsi della maggioranza relativa, che è pur sempre una minoranza dei voti espressi. Permette, cioè, se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta, di vincere il collegio, o anche di ottenere la carica di capo del governo, ad esempio in un sistema presidenziale, con qualunque percentuale di voti, anche lungamente minoritaria, alla sola condizione che nessuno ne prenda di più. E così si può essere eletti anche con il 40% dei voti, o addirittura con il 30%, se nessuno ottiene una percentuale maggiore, e governare contro il 60% o il 70% che ha votato per altri candidati. Per rendere ancora più chiaro il concetto, ipotizziamo un’elezione presidenziale a turno unico in cui si presentino 5 candidati, che raccolgono rispettivamente il 30%, il 25%, il 20%, il 15% ed il 10% dei voti. Risulterà eletto presidente il candidato che avrà ottenuto il 30%, perché nessuno avrà preso più voti di lui, e governerà contro il 70% dei votanti che avrà espresso preferenza per gli altri 4 candidati. Insomma, se nessuno ottiene la maggioranza assoluta dei voti, il maggioritario a turno unico crea governi politicamente “di minoranza”, perché permette alla più corposa minoranza di governare sulla maggioranza.

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Non può sfuggire come ciò sia quantomeno una notevole forzatura dei principi democratici, se non addirittura in aperto contrasto con essi, che postulano il diritto di governare solo se si è numericamente prevalenti. Si obietterà: è pur sempre il candidato che ottiene più voti, quindi una qualche forma di prevalenza numerica la ha. Certo, ma rimane minoritario tra i votanti, quindi non dovrebbe acquisire il diritto di governare. Né può in alcun modo sanare la cosa imporre limiti minimi per il conseguimento del premio di maggioranza, ad esempio il 40%, come vorrebbe certa parte della dottrina giuridica o politologica, perché il 40% non è maggioranza. Ed è proprio per sanare questo vizio congenito del turno unico che sono state inventate le varie forme di doppio turno a due, che, imponendo il passaggio alla maggioranza assoluta, cioè al 50%+1 voto, conferiscono una piena legittimazione democratica, e che sono infatti sostanzialmente la regola, ad esempio, nelle elezioni presidenziali dirette. Il meccanismo è quello di sottoporre ad un ulteriore giudizio dell’elettorato, tecnicamente realizzabile in vari modi, i due primi classificati del primo turno, in modo che, riducendo la scelta a due soli candidati, quello vincente otterrà sicuramente la maggioranza assoluta dei voti, e quindi il pieno diritto di governare.

Quali potrebbero essere i motivi di contrarietà al doppio turno?

Difficile ipotizzarne di sensati. Forse la volontà di risparmiare tempo e denaro per la celebrazione di una seconda votazione? Poco probabile, e comunque tecnicamente superabile, come vedremo qui di seguito. Forse il timore per la complessità tecnica dei doppi turni effettuati con le ulteriori preferenze, sulla stessa scheda del primo turno? Sarebbe un timore francamente poco fondato, e comunque difficilmente elevabile a ragione sufficiente. Forse la volontà, da parte di minoranze più compatte, di sfruttare a proprio vantaggio la maggiore tendenza di altre fazioni a dividersi? Sarebbe un’istanza che ovviamente non può trovare cittadinanza nel sistema politico di un paese democratico, che dovrebbe protendere ad individuare e mettere in pratica il migliore sistema possibile, a prescindere da considerazioni di altra natura, come le convenienze più o meno confessabili di questo o quello schieramento politico. Altri motivi di contrarietà? Si fatica davvero a vederne. Quale di quelli ipotizzabili sarebbe ragionevole o fondato? Anche in questo caso, si fatica ad individuarne.

E qui, per dirla con Bacon, finita la pars destruens, si inizia quella construens, con una breve analisi delle soluzioni adottate. L’unico sistema che ha la certezza di raggiungere la maggioranza assoluta in un solo turno è quello che, come il sistema australiano, obbliga ad esprimere un ordine di preferenza per tutti i candidati presentatisi, a pena di nullità del voto. Così, al termine della distribuzione delle seconde ed ulteriori preferenze, un candidato avrà sicuramente superato il 50% (a prescindere dalle specifiche modalità tecniche adottate: partire dall’esclusione dell’ultimo classificatosi con le prime preferenze, e dalla distribuzione agli altri candidati delle ulteriori preferenze di chi gli ha tributato la prima, come in Australia, o escludere dall’inizio i candidati classificatisi terzi dopo il conteggio delle prime preferenze, come in passato nelle comunali londinesi). L’obiezione cui si presta è che potrebbe urtare la sensibilità di chi non vuole esprimere nessuna preferenza, nemmeno l’ultima, per candidati con cui si considera radicalmente incompatibile. Sistemi che diano la possibilità di esprimere più d’una preferenza, ma non obblighino a classificare tutti i candidati, come ad esempio quello che è stato in vigore per l’elezione del sindaco di Londra, che ne prevedeva solo una seconda, rischiano di non far superare il 50% a nessun candidato, al termine della distribuzione. La seconda votazione, a distanza di una o due settimane, non ha questi difetti, ma da altro lato rischia di generare una certa stanchezza nell’elettorato e penalizzare così l’affluenza.

Premettendo che il sistema elettorale perfetto non esiste, prendendo le parti migliori da ognuno, si può avanzare una proposta che cerchi di andare incontro a tutte le esigenze, specie nelle elezioni a carica monocratica, ad esempio la presidenza della regione o la carica di sindaco, o quella di premier in un premierato futuro (poco senso avrebbe invece per le elezioni di singoli componenti di organi collegiali, come il Parlamento). Ad esempio un sistema che obblighi, a pena di nullità del voto, ad esprimere un ordine di preferenze per almeno la maggioranza assoluta dei candidati presentatisi (su 7 almeno 4, su 8 almeno 5, etc.), non obbligando così nessuno a votare quelli più distanti da sé, e dando un’alta probabilità che al termine della distribuzione delle preferenze, uno dei candidati superi il 50%; escluda, dopo il conteggio delle prime preferenze, i candidati classificatisi terzi, invogliando così a concentrare le prime preferenze, intese come un vero primo turno, sui candidati potenzialmente più forti; e mantenga come extrema ratio la seconda votazione, in caso nessuno, al termine della distribuzione, superi il 50%. Perfettibile? Come tutto, ed allora si avanzino proposte alternative e se ne discuta. Di certo, viene difficile accettare di mantenere un sistema elettorale come il turno unico maggioritario, che ha notevoli difetti sul piano democratico.

Nicola Storto

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