USA 2010: Guida al voto
[ad]A questa tornata elettorale i democratici non strapperanno alcune seggio ai loro avversari, e la dimensione delle perdite è ancora incerta. Sicuramente perse sono le battaglie di North Dakota, Arkansas ed Indiana. Il ritiro a inizio 2010 di Byron Dorgan, senatore progressista del North Dakota, era stato il primo segnale dello svolgimento drammatico assunto dalle midterm per il partito di Obama. Poche settimane dopo la rinuncia alla terza corsa di Evan Bayh, senatore centrista erede di una famosa dinastia democratica, aveva altresì consegnato l’Indiana al candidato repubblicano. In Arkansas la moderata Blanche Lincoln ha vinto un’appassionante sfida alle primarie, ma la sua impopolarità era tale che nessuno scommetteva su una sua rielezione, anche se probabilmente il suo distacco sarà meno consistente di quanto immaginato a fine estate. Tra i seggi lasciati liberi dai senatori repubblicani il Kentucky, il Missouri, l’Ohio e il New Hampshire avrebbero potuto diventare competitivo in un anno equilibrato, ma la tendenza repubblicana del 2010 ha escluso qualsiasi possibilità ai sogni democratici. In Florida e Alaska i candidati del Gop si sono divisi, ma la vittoria andrà a chi siederà nel gruppo repubblicano a inizio sessione.
Gli analisti e le stime basate sui sondaggi concedono poche chance ad un Senato a maggioranza Gop, che dovrebbe strappare 10 seggi per tornare a quota 51. Tolti i 3 seggi già assicurati, nei rimanenti sette le chance repubblicane sono molto buone, ma non tali da prevedere una vittoria completa. In ordine decrescente di possibilità appaiono indirizzati verso la colonna Gop i seggi di Wisconsin, Pennsylvania, Illinois, Nevada, Colorado e Washington. In Wisconsin l’eroe liberal Russ Feingold paga l’enorme inquietudine del Midwest, dove è acuta la crisi economica e alta l’impopolarità di Obama. Un senatore che sarà rimpianto da molti progressisti, che si erano innamorati di Feingold per i suoi voti contro il Patriot Act o la guerra irachena. Una simile dinamica penalizza il candidato democratico in Pennsylvania, dove il liberista Toomey appare il chiaro favorito, anche se il suo vantaggio si è ridotto nelle ultime settimane. In Illinois il passaggio ai repubblicani del seggio di Obama sembra l’esito più prevedibile, una sconfitta simbolo di queste midterm 2010. L’impopolarità del presidente gioca a sfavore di Giannoulias, gravato inoltre del fallimento della banca che appartiene alla sua famiglia. Più prevedibile invece era a inizio ciclo la sconfitta di Harry Reid, capogruppo della maggioranza democratica al Senato, da un po’ di anni molto impopolare nel suo Stato, il Nevada. Con un candidato meno estremo di Sharron Angle i repubblicani si sarebbero assicurati questo seggio da molte settimane, anche se alla fine Reid sembra destinato alla sconfitta. In Colorado l’incumbent democratico, Michael Bennett, è riuscito a risollevarsi nel finale, e la sfida si giocherà all’ultimo voto. Tradizionalmente le battaglie all’ultima scheda premiano i candidati che sfidano chi è in carica, un elemento che favorisce il repubblicano Ken Buck. Nello Stato di Washington la media dei sondaggi premia di pochissimo la senatrice Patty Murray, ma nel rush finale il suo sfidante Dino Rossi appare con il vento nelle vele. Sulle sponde del Pacifico nordoccidentale le elezioni si svolgono per via postale, e probabilmente si assisterà ad un lunghissimo spoglio per decidere il vincitore. Anche con una sconfitta a Washington i democratici manterrebbero la guida formale del Senato, perché in caso di parità conta il voto del Vice Presidente Biden.
I repubblicani potrebbero sperare in un’altra vittoria da ottenere in West Virginia e California, mentre l’agognato Connecticut è ormai fuori portata. In West Virginia il popolare governatore democratico Joe Manchin è riuscito a risalire nei sondaggi grazie ad un notevole spostamento a destra della sua campagna elettorale, mentre in California il Gop ha espresso una candidatura troppo debole contro un’istituzione, peraltro molto ammaccata, come Barbara Boxer. A meno di uno tsunami repubblicano il Senato sarà ancora in mano democratica, ma se il gruppo Gop proseguirà l’ostruzionismo praticato negli ultimi due anni la paralisi della più influente camera legislativa mondiale appare come la più facile delle previsioni.