Usa 2010: Analisi del voto

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Le elezioni di metà mandato hanno confermato le aspettative della vigilia. Il partito del presidente arretra quasi sempre alle midterm…

e l’attesa sconfitta democratica è diventata una disfatta a causa del pessimo stato dell’economia e della diffusa inquietudine di un Paese che si sente in crisi da molti anni.

Alla Camera i repubblicani hanno guadagnato più di 60 seggi, un incremento di proporzioni storiche. Era dal 1928 che la delegazione congressuale del Gop non era così ampia. A livello nazionale il partito del nuovo Speaker John Boehner ha ottenuto circa il 52, 53%, poco meno di setti punti percentuali in più rispetto ai democratici. Un simile distacco avrebbe dovuto portare ad un incremento di seggi più contenuto, ma la tendenza conservatrice dei distretti congressuali marginali ha reso molto efficiente la distribuzione del consenso repubblicano. Tra i democratici sono state sconfitti molti rappresentati storici, tra i quali ben tre presidenti di commissione. La classe 2008 arrivata alla Camera grazie al trionfo obamiano è stata quasi del tutto cancellata. Il partito del presidente è uscito letteralmente massacrato nei collegi della Florida, della Pennsylvania e dell’Ohio, mentre gli esponenti moderati che rappresentavano distretti rurali o suburbani, i cosiddetti Blue Dog, hanno subito una vera e propria emorragia nonostante campagne elettorali dai toni apertamente conservatori.  Le maggiori difficoltà per il partito di Obama si sono concentrate al Sud e nel Midwest, la prima l’area del Paese più conservatrice, la seconda la zona dove la crisi economica è sentita in modo più acuto.

 

[ad]Al Senato la competizione è stata più articolata, anche se l’ottima performance repubblicana è stata replicata. Nessun mandato del Gop è passato ai democratici, e nei seggi aperti che a inizio campagna elettorale erano sembrato competitivi, come Kentucky, Missouri, New Hampshire e Ohio, il successo repubblicano è stato netto oltre ogni aspettativa. Il partito di Obama ha perso sei seggi, tre in Stati conservatori come Arkansas, North Dakota e Indiana, e altrettanti in Stati più progressisti come Wisconsin, Illinois e Pennsylvania. In queste tre competizioni i margini di vittoria sono stati più contenuti rispetto alle stime della vigilia, grazie ad una parziale ma alla fine non sufficiente mobilitazione della base democratica. I tre Stati appartengono alla cosiddetta cintura industriale, e l’alta disoccupazione è stato probabilmente il fattore decisivo che ha spinto gli indipendenti verso l’opposizione. Il centrosinistra statunitense ha invece confermato i seggi di California, Colorado, Nevada , Washington e West Virginia. Nei primi tre il fattore decisivo sembra essere stato il voto degli ispanici, mentre in West Virginia la campagna del popolare governatore Manchin ha dimostrato quanto conti un buon candidato. Fattore confermato anche dai fallimentari risultati ottenuti dagli esponenti più celebri del Tea Party, che è andato molto bene alla Camera, dove il voto è più influenzato dalla tendenza nazionale, ma è andato male al Senato con le nette sconfitte di Christine O’Donnell, Sharron Angle e Joe Miller.

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[ad]Negli Stati l’onda repubblicana si è fatta sentire con altrettanta influenza. Il conteggio definitivo è ancora in corso, ma il Gop ha ottenuto una chiara maggioranza tra i governatori statali, passando da 24 ad almeno 30. Particolarmente significativo il filotto nel Midwest, dove solo Illinois e Minnesota sono andate ai democratici per pochissimi voti. Il partito di Obama ha riconquistato lo Stato più popoloso della Nazione, la California, mentre la Florida è stata vinta dal repubblicano Scott che ha sfruttato il traino del neo senatore Marco Rubio. In Rhode Island un indipendente, l’ex repubblicano moderato Chafee, ha vinto un’equilibrata corsa a tre. I repubblicani hanno conquistato almeno 18 assemblee legislative, un successo che sicuramente aiuterà il partito nella ridefinizione dei distretti congressuali.

 

L’exit poll della Camera e i dati provenienti dalle sfide statali hanno rilevato un netto spostamento a destra dell’elettorato bianco, spinto dalla grande mobilitazione conservatrice. Per la prima volta da molti anni i moderati sono diventati il secondo gruppo dietro ai conservatori per quanto riguarda il posizionamento ideologico, mentre i repubblicani hanno cancellato il vantaggio democratico nell’identificazione partitica. Gli indipendenti hanno scelto in modo netto l’opposizione, determinando in buona sostanza il margine di vittoria dei repubblicani. Forte polarizzazione del voto nelle fasce d’età, con gli over 65 dominati dai repubblicani e gli under 30 vinti in modo molto netto dai democratici. Confermata altresì la netta preferenza per i democratici da parte delle minoranze etniche. Il marcato scostamento tra le presidenziali 2008 e le midterm 2010 è stato in parte determinato anche dalla differente composizione dell’elettorato tra le due consultazioni. Quando si sceglie l’inquilino della Casa Bianca giovani e minoranze razziali partecipano molto di più che alle elezioni di medio termine, e questa tendenza ormai tipica della politica americana ha favorito i repubblicani. Nel 2012 la diversa mobilitazione dei gruppi socio demografici potrà comunque ridefinire i nuovi rapporti di forza tra i due major parties statunitensi. Tra il 2008 e il 2010 lo swing alla Camera è stato pari a circa 17 punti percentuali, e una simile dinamicità elettorale rende molto ardua qualsiasi previsione per il futuro, anche nel breve termine.