Sea Shepherd “infierisce” sul Giappone
[ad]Il Giappone giustifica la propria di attività di caccia alle balene richiamandosi all’articolo 8 dell’ICWR, che autorizza i governi membri a concedere dei permessi alla loro industria baleniera per la caccia, a patto che essa sia motivata da “ragioni scientifiche” e a condizione che tali permessi siano riferiti poi alla Commissione. Da ciò ne è derivata la creazione, da parte del Giappone, dell’Istituto per la ricerca sui Cetacei (ICR), finanziato dal governo giapponese e da questo finanziato. Quest’interpretazione “restrittiva dei limiti” imposti a livello internazionale alla caccia alle balene, va però contro quella fornita dalla stessa Commissione, che già dal 1976 ha stabilito che sulla “legittimità” dell’attività di caccia alle balene la parola definitiva spetta al Comitato scientifico dell’IWC. Nonostante ciò, il Giappone ha continuato a cacciare le balene, spesso anche contro il parere negativo del Comitato. Sono quindi seguite numerose risoluzioni di condanna dell’attività della flotta nipponica da parte della Commissione internazionale, e non sono mancati casi di forti tensioni con gli Stati Uniti, che nel 1988 hanno revocato i privilegi, fino a quel momento accordati ai giapponesi, per la pesca nelle loro acque. Inoltre, la Commissione ha subordinato la “legittimità” delle azioni legate alla caccia alle balene ad una serie di condizioni: la produzione di rapporti scientifici e tempestivi, la dimostrazione della necessarietà della caccia per ragioni scientifiche e, soprattutto, della impossibilità di utilizzo di strumenti di ricerca diversi e non letali per gli animali ai fini dello stesso risultato scientifico. Almeno 19 risoluzioni dell’IWC hanno denunciato la non conformità dell’attività svolta dalla flotta giapponese rispetto a questi criteri, chiedendo da ultimo con forza nel 2005 e nel 2007 la rinuncia alle “ricerche letali”.
Ci si è chiesto allora perché nessuno intervenisse per fermare la caccia alle balene in Antartide. Per Paul Watson non bastano le risoluzioni se queste poi non vengono applicate: e così, come spiega Peter Hammarstedt, primo ufficiale della nave Bob Barker, Sea Shepherd si trova ad agire quale “polizia non ufficiale” dell’IWC e dei mari in generale. “La nostra azione si giustifica sulla base del principio di Norimberga, nato dopo il processo ai crimini nazisti della Seconda guerra mondiale. Esiste l’obbligo morale di denunciare i reati dei quali si è testimoni, anche se non si è parte attiva del reato. Sea Shepherd è un’organizzazione che si prefigge di fare applicare le leggi che esistono, per fermare i massacri e la distruzione del nostro ambiente”. Ciò che contraddistingue l’ong è l’azione diretta piuttosto che la mera protesta. Questo principio trova conferma e maggior forza nel dettato della Carta Internazionale delle Nazioni Unite, che sancisce il diritto degli individui di agire laddove si riscontrino atti di distruzione dell’ambiente. Essendo la legge internazionale prevalente su quella nazionale, questo principio permette a Sea Shepherd di intervenire ovunque, anche in acque nazionali. Le contestazioni mosse contro il Giappone per la sua attività di caccia alle balene nel santuario antartico, secondo le denunce di Sea Shepherd ma non solo, sono le seguenti: la “ricerca letale” non è necessaria e mette a rischio alcune popolazioni di balene anziché proteggerle; la caccia prosegue anche a fronte dei pareri contrari dell’IWC e viola il Trattato Antartico, la Convenzione di Washington (CITES) e la Convenzione di Canberra in materia di conservazione delle risorse marine viventi in Antartide; inoltre, l’attività in questione si pone in contrasto con quanto disposto da un’ordinanza della Corte Federale Australiana che proibisce la caccia alla balene nelle acque del Territorio Antartico Australiano e avviene per scopi commerciali anziché scientifici, generando peraltro un enorme giro di corruzione. Per quanto concerne il carattere scientifico o meno dell’attività di caccia alle balene effettuata in Antartide, nel 2002 molti esperti, da tutto il mondo, hanno denunciato la non scientificità della presunta ricerca giapponese, la quale appunto non avrebbe i requisiti minimi per essere definita come tale: l’Istituto di Ricerca sui Cetacei, a sostegno della tesi contraria, ha prodotto di fatto pochissimi documenti rilevanti, e comunque non abbastanza da giustificare l’esistenza di un programma annuale di caccia.
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