Sea Shepherd “infierisce” sul Giappone

Pubblicato il 10 Aprile 2011 alle 17:43 Autore: Francesca Petrini
giappone

[ad]Il problema della “pesca massiccia” non riguarda però solo le balene in Antartide. Anche vicino alle coste italiane, nel Mediterraneo, la pesca intensiva del tonno rosso mette a rischio un intero ecosistema. Gli attori sono sempre gli stessi, ovvero navi di contrabbando che pescano al di fuori della stagione e delle norme internazionali. Anche il destinatario è lo stesso, il mercato giapponese. E anche in questo caso Sea Shepherd è presente con le sue navi per tentare di fermare un processo che può portare alla catastrofica estinzione del tonno rosso nei prossimi dieci anni. Il tonno rosso, pietanza pregiata in particolare dagli amanti del sushi, è un c.d. “predatore apicale”, ossia al vertice della catena alimentare. Ne risulta che l’impatto della sua cattura sull’ecosistema è carico di conseguenze, come dimostrato da uno studio, Seafood Print, condotto per la National Geographic Society. Il tonno si nutre di predatori intermedi che, a loro volta, si nutrono di predatori primari: sopprimere il tonno rosso vuol dire travolgere l’intero equilibrio marino, con la conseguente proliferazione esponenziale di alcune specie e la sparizione di altre.

Secondo una semplice equazione, ad una pesca massiccia corrisponde un consumo altrettanto massiccio, e più la domanda aumenta più le specie sono rare e i prezzi aumentano, generando un enorme giro di affari nel mercato della pesca che, come nel caso della caccia alla balena, attira economie sotterranee e criminali. La pesca del tonno rosso nel Mediterraneo è controllata da un organismo internazionale, l’ICCAT, International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas, nonché dall’Unione Europea, che ne sanciscono limiti e condizioni. Ma una volta finita la stagione autorizzata per la pesca al tonno, non tutte le barche tornano al porto. I membri di Sea Shepherd ne sono stati testimoni lo scorso 17 giugno 2010, quando si sono imbattuti in due larghe reti al largo delle coste libiche, piene di tonni rossi catturati vivi per essere ingrossati e rivenduti poi sui mercati asiatici, non senza essere stati prima lavorati in porti franchi in modo da eliminare qualsiasi traccia relativa alla loro provenienza, rendendo cosi più complicati i controlli e l’applicazione delle regolamentazioni. Un lato oscuro dell’industria della pesca che è stato anche documentato dall’eccellente inchiesta di Sabrina Giannini per Report, “L’ultima mattanza”: il reportage evidenzia l’implicazione della mafia nell’industria peschiera nel sud Italia, dove alcuni porti sono interamente controllati dagli uomini delle cosche.

In conclusione, non si tratta di convincere della bontà dei metodi adottati da Sea Shepherd, quanto considerare con maggiore attenzione che la protezione dell’ambiente non necessita di nuove leggi, ma dell’applicazione di quelle esistenti. Solo così, infatti, si può sperare di frenare la folle corsa che porta all’estinzione di specie viventi e, nel medio-lungo periodo, al collasso dell’ecosistema nel suo complesso. E in questo senso, Paul Watson e la sua organizzazione da anni lottano per l’applicazione, l’esecuzione e l’implementazione del diritto del mare, internazionale e non. Citando il Dalai Lama, il fondatore di Sea Shepherd ama ripetere che “non vuoi fare del male al tuo nemico; ma se quest’ultimo si ostina a non capire, bisogna dargli la scossa necessaria per che si illumini”.

(scritto con Raffaella Tolicetti)

L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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