DA BUDAPEST. Quest’anno ricorre il centenario della nascita di János Kádár, una delle personalità ungheresi più importanti del novecento. Un leader politico inizialmente fortemente odiato, ma in seguito amato e rimpianto per la costruzione del cosiddetto “comunismo al gulasch”. La storia ungherese in questo caso accomuna tre statisti del novecento: Francesco Giuseppe, Miklós Horthy e Kádár; giunti al potere attraverso una violenta repressione, ma capaci di creare una società stabile e duratura (soprattutto Francesco Giuseppe e Kádár) spesso e volentieri rimpianta.
[ad]János Kádár nasce il 26 maggio 1912 a Fiume. Il nome con cui viene registrato all’anagrafe è in realtà Giovanni Giuseppe Csermanek, modificato dopo la guerra in un più ungherese Kádár. Entra in contatto per la prima volta con il partito comunista ungherese nel 1930. In breve tempo diventa uno dei principali dirigenti, anche grazie al fatto che il partito conta pochi iscritti, la maggioranza dei quali si trovano nelle carceri del regime hortista, carceri che toccheranno anche al giovane comunista.
Dal 1945 inizia una nuova vita per l’Ungheria e per Kádár, l’occupazione dell’Armata Rossa e la riorganizzazione del partito gli aprono nuove prospettive, brutalmente interrotte però nel 1952 quando durante le purghe interne viene arrestato. Liberato nel 1954 manterrà intatta la propria fiducia e devozione verso i leader stalinisti del partito.
Il ricordo di Kádár sarà sempre legato alla rivoluzione del 1956 e a Imre Nagy. Per molti ungheresi Kádár rimarrà sempre “il grande traditore” della rivoluzione. Tradimento che si consuma il 4 novembre quando dopo essere sparito misteriosamente da Budapest torna nella capitale “scortato” dai carri armati sovietici. ruolo di Kádár durante la rivoluzione del 1956 è ancora oggi fonte di discussione fra gli storici ungheresi. Si è recato di propria volontà a trattare con i leader sovietici o è stato costretto? Aveva altre possibilità?
I primi anni post 1956 sono quelli più drammatici, la cosiddetta normalizzazione costa centinaia di esecuzioni, fra le quali quella di Mánsfeld appena sedicenne durante la rivoluzione e quella di Nagy, oltre a quasi 200.000 profughi. Conclusa la fase repressiva dagli anni sessanta inizia un lungo periodo di rilassamento nella società ungherese: amnistie politiche, crescita economica, “tolleranza” politica e consumismo caratterizzano il “kadarismo maturo” che fornisce una nuova legittimità al regime. “Chi non è contro di noi è con noi” è la frase simbolo di questi decenni utilizzata in diversi frangenti da Kádár per differenziarsi dal periodo stalinista.
Gli anni ottanta segnano di pari passo l’invecchiamento del leader comunista e del regime socialista. Ormai esautorato dal potere (nel 1988), muore poche settimane dopo i funerali di stato concessi a Nagy e proprio nel giorno in cui il leader della rivoluzione del 1956 veniva formalmente riabilitato. Nell’ultima intervista rilasciata alla televisione ungherese sugli schermi compare una persona stanca, provata che ammette di aver convissuto in tutti gli ultimi anni con l’incubo di Nagy. Le ultime sue parole sono “mi scuso per tutto”.
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[ad]János Kádár verrà troppo velocemente dimenticato negli anni successivi al 1989, anni in cui la società ungherese è totalmente rivolta e speranzosa nel futuro, alla democrazia e al capitalismo. Ma come in altri paesi (DDR e Jugoslavia in primis) negli ultimi anni il kadarismo come periodo storico di relativa stabilità, sicurezza, benessere e tolleranza è diventato sempre più apprezzato dalla società ungherese, che vede in Kádár un “gentlemen”, un politico umile capace di vivere il potere in maniera discreta e “popolare”, di essere duro e repressivo ma anche di saper tendere la mano per la riconciliazione.
Sulla figura di Kádár quest’anno si concentreranno numerose conferenze in Ungheria ma non solo. A Trieste l’Associazione culturale Italo-Ungherese “Pier Paolo Vergerio” organizza l’8-9 giugno un Convegno di studi internazionali con la presenza di numerose personalità italiane e ungheresi.
di Aron Coceancig