Pagnoncelli a TP: “possiamo sbagliare, non siamo cartomanti. Ma i sondaggi servono”. L’intervista
Pagnoncelli a TP: “possiamo sbagliare, non siamo cartomanti. Ma i sondaggi servono”. L’intervista
“I sondaggi hanno molti limiti, ma innovare e sperimentare nuove soluzioni è difficile”. Pregi e difetti delle indagini demoscopiche nelle parole di Nando Pagnoncelli, tra i più noti sondaggisti italiani e amministratore delegato di Ipsos, in questa intervista a Termometro Politico. In cui spiega il ruolo della televisione nel formare le opinioni degli italiani. Delinea le possibili tendenze sull’affluenza in vista del 6-7 giugno. E dice sì al buio sondaggi in vigore dalla scorsa settimana. L’INTERVISTA
[ad]Nando Pagnoncelli è uno tra i più famosi sondaggisti italiani. Volto di sondaggi, exit poll e proiezioni prima per Abacus, per la quale ha lavorato dal 1985 al 2004, e poi per Ipsos, di cui è amministratore delegato da cinque anni, è ospite fisso di “Ballarò” e ha appena pubblicato Le opinioni degli italiani, per l’editore La Scuola. A lui abbiamo fatto alcune domande, raccolte tra quelle dei lettori del sito e scelte dalla redazione.
Pagnoncelli, partiamo da una nota dolente. I sondaggi nel 2006 e anche in parte nel 2008 hanno sofferto, dando risultati non corretti. In particolare si è ravvisata una sottostima del centrodestra. Come mai?
«Innanzitutto distinguiamo tra exit poll e sondaggi pre-elettorali. Gli exit poll sono sondaggi all’uscita dei seggi e hanno per questo più visibilità nelle trasmissioni elettorali. Ma credo che lei si riferisca ai sondaggi pre-elettorali, in sostanza nel 2006 c’è stato un pareggio inaspettato e nel 2008 c’è stato un pareggio mancato. In realtà ci sono sia elementi tecnici sia elementi che hanno a che fare con i cambiamenti della società italiana».
Quali sono gli elementi tecnici?
«Il primo punto è che gran parte dei sondaggi viene realizzata con il metodo dell’intervista tramite telefono fisso. Deve sapere che i dati Istat ci dicono che il 30% delle famiglie non è presente sugli elenchi del telefono, e questo dato assume dimensioni imponenti in alcune zone del Paese: per esempio in Sicilia e Calabria siamo intorno al 40 per cento. Questo significa che un quarto degli elettori, e quasi metà in alcune regioni, non può essere contattato per fare sondaggi: di conseguenza ignoriamo il suo orientamento di voto. Questa è una prima distorsione della copertura campionaria».
Ma se anche riuscite a telefonare, gli intervistati rispondono?
«Eccomi al secondo elemento, che è un po’ a cavallo tra l’aspetto tecnico e quello sociale: il numero di contatti necessari per fare un’intervista. Mi spiego: oggi per fare un’intervista ci vogliono da sei a otto fino a dieci o undici tentativi. Vuol dire che ci sono larghi strati di popolazione che si sottraggono alle interviste. Il tasso di rifiuto aumenta l’autoselezione del campione, che è sempre meno rappresentativo dell’elettorato generale».
(per continuare la lettura cliccare su “2”)