Quel baratto insussistente tra semipresidenzialismo e doppio turno.
Quel baratto insussistente tra semipresidenzialismo e doppio turno.
Curioso personaggio Gaetano Quagliariello.
Militante radicale confluito in area Psi dopo quella che il Termometro Politico definì “la scissione più inutile della storia”, sommo professore presso l’ateneo barese, sodale del Presidente del Senato Marcello Pera per poi diventare senatore e vicepresidente del PdL presso l’aula di Palazzo Madama.
L’uomo, dai meriti accademici innegabili, che sta seguendo per il Popolo della Libertà la complessa partita della riforme istituzionali. Una partita che via dell’Umilità si sta giocando puntando tutto sul semipresidenzialismo e sul sistema elettorale a doppio turno. Un sistema, quello per l’elezione delle camere, quanto mai gradito dal Pd soprattutto a seguito della sbornia hollandiana. Ma al tempo stesso praticamente tutto il centrosinistra nutre una nemmeno troppo velata forma di scetticismo nei confronti dell’elezione diretta del Capo dello Stato.
Alla luce di questa situazione la proposta del centrodestra sembra quasi pronta per adescare un potenziale scambio: a noi non ci piacerebbe tantissimo il doppio turno, ma lo accettiamo se diamo vita tutti insieme ad una svolta semipresidenzialista. Così le aspirazioni pseudo-plebiscitarie di marca berlusconiana possono avere seguito e al tempo stesso l’ex capo del governo può uscire vincitore della partita.
A parte il fatto che non si capisce perché mai il Pd dovrebbe essere accondiscendente nei confronti di queste istanze del PdL, il dato politico che occorre sottolineare è un altro, ovvero l’insussistenza della logica del “baratto”: semipresidenzialismo in cambio dei collegi a doppio turno.
Si tratta di un approccio strumentale e politicamente quanto mai sbagliato. Insegnano infatti fin dalle scuole elementari che in matematica è quanto mai impossibile sommare le mele con le pere. Non si capisce dunque perché a livello politico una legge di rango costituzionale, come l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, dovrebbe essere paritetica ad una “semplice” legge ordinaria come quella legata alla legge elettorale. Che appunto per questo può essere approvata anche a maggioranza semplice dalle aule parlamentari anche se il buon gusto sconsiglia questa pratica (come ci insegna il precedente berlusconiano del 2005).
Al tempo stesso però c’è un altro elemento che non quadra in questo discorso. Ed è quello legato alla coerenza interna che vede il PdL proporre un pacchetto istituzionale di così ampia portata.
E qui rispunta Quagliariello che segue questo intricato dossier. Il senatore ha infatti dichiarato, riferito al Pd, che ad un tipo di legge elettorale occorre un coincidente sistema istituzionale nel suo complesso. E allora per questioni di equilibrio quasi costituzionale di fronte a dei collegi a doppio turno occorre un capo dello stato eletto direttamente dai cittadini. Altrimenti il tutto è incoerente.
Strano. Perché lo stesso Gaetano Quagliariello nella prefazione del suo splendido e monumentale manuale “De Gaulle e il gollismo” (Il Mulino, 2003, 884 pag.) scrive come egli apprezzi il Generale oggetto del suo studio, nonostante la sua ferma contrarietà al progetto di Alleanza Atlantica, progetto di cui invece Quagliariello si dichiara un felice sostenitore.
E questa passione di Quagliariello, nonostante la diversità di posizioni, è dovuto al fatto che il Generale seppe interpretare nel profondo degli animi le caratteristiche insite nel suo paese e nel suo popolo. E dunque, per semplificare al massimo, in un Paese dal così grande spirito della “grandeur” può apparire anche legittimo essere contro la Nato. Perché il tutto è una vicenda di contesti.
Perfetto. Ma allora, se il tutto è giustamente una vicenda di contesti, perché proporre un sistema, quanto mai inadatto nel nostro Paese, come l’elezione diretta del Capo dello Stato? Non siamo un Paese accentrato come la Francia (“La France est Paris”) e non siamo uno Stato che diventa Nazione, ma l’esatto contrario. In più, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, non avendo una lunga tradizione all’assolutismo e al centralismo esasperato è bene che esista una figura capace di incarnare tutti i cittadini al di sopra delle divergenze politiche. E i dati di popolarità che gli istituti demoscopici segnalano al Capo dello Stato sono un’esemplificazione di tutto ciò.
Dunque, se per coerenza interna non si deve spacchettare il doppio turno dal semipresidenzialismo, per la stessa identica coerenza interna, non si dovrebbe accantonare una forma d’elezione diretta di questo tipo, puntare invece su una maggiore governabilità, dando più poteri e prerogative al capo del governo e cambiare la legge elettorale, anche e soprattutto in chiave maggioritaria?
Quesiti forse complessi, ma che necessiterebbero di una risposta.