Armenia, Mr. Sargsyan goes to Brussels

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Due giorni dopo essere stato ri-nominato alla guida del governo armeno, a seguito dei risultati delle elezioni del 6 maggio, da parte dell’omonimo capo di stato Serzh Sargsyan, il primo ministro Tigran Sargsyan era in visita a Bruxelles. Il capo di governo armeno ha incassato l’appoggio del Partito Popolare Europeo (PPE) – il maggiore gruppo politico di centrodestra, da Merkel a Orban – e in una conferenza pubblica presso il think tank CEPS ha dettagliato il suo programma di lotta alla corruzione e riforma dello stato, la situazione geopolitica del Caucaso secondo Yerevan, e il ruolo dell’Unione Europea.

[ad]L’appoggio del PPE ai partiti di governo armeno

Wilfried Martens, presidente del PPE, si è congratulato con Sargsyan per la “convincente vittoria” e l’alto livello di organizzazione delle elezioni. Tre partiti di governo armeni –  il Partito Repubblicano, Stato di Diritto, e il partito ‘Heritage’ poi fuoriuscito dalla maggioranza – erano stati accettati come membri del PPE nel febbraio 2012.

“Le migliori elezioni nella storia dell’Armenia”

Tigran Sargsyan ha definito le elezioni parlamentari del 6 maggio 2012 come una svolta nel rafforzamento delle istituzioni democratiche in Armenia, e ha ricordato come secondo “osservatori europei” si sia trattato delle “migliori elezioni mai tenutesi nei vent’anni dall’indipendenza dell’Armenia”.

Sargsyan non ha utilizzato la definizione standard di elezioni libere e democratiche, ‘free and fair’; in effetti gli osservatori UE pur riconoscendo il progresso nella trasparenza e contendibilità del processo elettorale avevano sottolineato come diversi fattori ancora le tenessero a distanza dagli standard elettorali internazionalmente riconosciuti per una democrazia. Lo stesso OSCE/ODHIR aveva riconosciuto le elezioni come “competitive e largamente pacifiche”, pur sottolineando che numerose mancanze avevano minato la fiducia dei cittadini nel processo elettorale.

Sargsyan ha aggiunto che le autorità armene sono risolute a colmare il deficit democratico del paese entro le elezioni presidenziali del 2013 – in cui l’omonimo presidente Serzh Sargsyan è in lizza per la rielezione. Insomma, la democrazia elettorale può aspettare. In termini di scienza politica, l’Armenia resta un autoritarismo competitivo.

Priorità: lotta alla corruzione e riforma della pubblica amministrazione

Sargsyan ha ripetuto alla platea di Bruxelles ciò che volevano sentirsi dire sulle materie più tecniche e meno contenziose: il governo armeno metterà in atto la sua ideologia di riforma dello stato, al fine di costruire una forte società democratica fondata su una classe media. Ciò attraverso l’investimento sul sistema educativo, la promozione di un potere giudiziario indipendente, la promozione delle esportazioni, e la creazione di un ambiente favorevole agli affari e agli investimenti.

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[ad]La corruzione pervasiva ed una pubblica amministrazione inefficiente sono stati indicati come “seri ostacoli”, da superare attraverso uno sforzo di trasparenza: sono state citate la pubblicazione dei processi e dei pagamenti degli appalti statali, la trasmissione online delle sedute del governo, una commissione etica sui conflitti d’interesse, e la pubblicazione dei redditi e rendite di 500 alti ufficiali governativi.

Ad una domanda sul perché l’Armenia non possa seguire la stessa strada della Georgia, allievo modello nella lotta alla corruzione, Sargsyan ha replicato che “non sarebbe accettabile per la società armena andare incontro a cambiamenti rivoluzionari, come in Georgia; al contrario, metteremo in atto un cambiamento evolutivo, più sostenibile nel lungo termine”.

Giocare la carta delle costrizioni geopolitiche

Sargsyan ha giocato la carte dell’ambiente geopolitico per spiegare i mancati progressi dell’Armenia. Ha ricordato come la “retorica ostile” e la crescita delle spese militari dell’Azerbaijan indichino un “desiderio esplicito di risolvere con la forza la questione del Nagorno Karabakh”, come il blocco turco della frontiera armena – nonostante l’asserito rispetto armeno dei Protocolli firmati in Svizzera nel 2009 – impedisca la diversificazione dell’economia armena, ed infine come le sanzioni internazionali ed europee contro l’Iran siano una sfida al potenziale armeno di crescita economica. La guerra russo-georgiana del 2008 ha messo in luce, secondo Sargsyan, la vulnerabilità dell’economia armena dovuta alla sovradipendenza da un singolo corridoio di trasporto.

Quale ruolo per l’UE a Yerevan

A differenza dei suoi omologhi in Ucraina, Georgia e Moldova, Sargsyan non ha indicato un esplicito obiettivo di adesione del paese all’UE, nemmeno in un futuro più o meno lontano. La posizione del governo è che i diversi partenariati strategici –  con la Russia da una parte, e con UE e Stati Uniti dall’altra – non siano in contraddizione ma piuttosto complementari tra loro. Da una parte, l’Armenia ha firmato nel 2011 a San Pietroburgo un accordo di libero scambio con l’area della Comunità degli Stati Indipendenti; dall’altra, sono in corso i negoziati con l’UE per un accordo di associazione (AA), un accordo di riammissione e liberalizzazione dei visti (RA/VFA) e per un ‘deep and comprehensive free trade agreement’ (DCFTA) che, come per l’Ucraina, permetta l’apertura dei mercati europei alle esportazioni armene.

L’Unione Europea, e il processo di Partenariato Orientale (EaP) che include Yerevan nell’ambito della politica di vicinato (ENP), sono secondo Sargsyan una forza fondamentale per spingere verso la riforma e la trasformazione della società armena. Per quanto riguarda lo sviluppo dei rapporti con gli stati confinanti, il governo armeno vede come unica soluzione la costruzione di relazioni basate su uno stesso sistema di valori, quelli “europei”, riconoscendo come tanto la Turchia quanto l’Armenia abbiano dichiarato di intraprendere il “sentiero europeo verso lo sviluppo”.

Vecchi politici per nuove politiche?

Secondo Sargsyan, i risultati elettorali dimostrano che i cittadini armeni sostengono il governo in carica, pur riconoscendo che un ritardo nelle riforme potrebbe minarne la fiducia. Resta da vedere come una classe politica al potere sin dal 1998 possa essere in grado di mantenere l’impegno a “iniziative coraggiose ed un cambiamento radicale”.

Da EastJournal

di Davide Denti