Quale soluzione per la crisi spagnola?
Non sembra esserci uscita dalla recessione che sta colpendo la zona euro e sembra sempre più chiaro che nessuno degli strumenti fino ad oggi utilizzati dai singoli governi Europei e dalla stessa Unione Europea abbia la capacità di rimettere in moto l’economia. Non c’è manovra economica il cui ipotizzato effetto positivo non sia stato smentito dai fatti. Questo perché nessun intervento dell’UE e dei suoi stati membri ha rappresentato una reale scossa per il mercato. Nulla di nuovo è stato fatto o pensato; nulla è stato ridefinito.
[ad]Il caso spagnolo sarà probabilmente l’ulteriore esempio di questa incapacità di trovare nuove soluzioni per la crisi. La decisione di salvare le banche spagnole concedendo 100 miliardi di euro provenienti dalla Banca Centrale Europea (così suddivisi: Germania 27%, Francia 23% e Italia 20%) non garantirà a questo paese di risollevarsi. Perché in Spagna non c’è solo un enorme debito nei confronti delle banche da parte delle tante imprese edilizie che sono fallite in questi ultimi quattro anni, ma c’è anche una disoccupazione spaventosa, che raggiunge il 50% nelle coorti più giovani (18 – 24 anni). Consentire alle banche di ricevere i fondi sufficienti per poter coprire almeno i risparmi dei propri contribuenti non garantirà a questi ultimi di averne dei benefici. Si tratterà, infatti, di denaro congelato all’interno degli istituti bancari che non avrà alcun effetto sulla ripresa del paese, perché non verrà concesso in prestito. Meglio sarebbe stato, probabilmente, prestare denaro direttamente a privati e alle aziende che stanno rischiando di chiudere per colpa del cattivo funzionamento di alcune banche spagnole. Perché, ad esempio, non consentire alle imprese edili debitrici nei confronti degli istituti bancari di accedere a fondi europei potendo così restituire parte del dovuto e utilizzare il denaro rimanente per provare a ripartire? La BCE per statuto non può prestare denaro se non alle banche del sistema europeo e questa condizione ci spiegare perché non è stato possibile fare ciò. Ma è proprio questo aspetto a rivelare la scarsa dinamicità delle istituzioni europee e l’incapacità di apportare soluzioni innovative contro la crisi. Continuare a immettere denaro nelle banche sull’orlo del fallimento è come cercare di curare con un cerotto un paziente che ha perso un braccio.
Le difficoltà della Spagna, come ha raccontato Enrico Peroni su Termometro Politico qualche giorno fa, hanno radici profonde. Dipendono sopratutto dal modello economico di sviluppo che ha dominato in Spagna durante il boom economico iniziato nella seconda metà degli anni novanta. Nonostante Zapatero avesse promesso di passare dall’economia del mattone a quella del chip, l’edilizia ha continuato ad essere il settore trainante della crescita della penisola iberica. E quando la bolla edilizia è scoppiata negli USA, uno degli stati che ne ha risentito di più è stata proprio la Spagna. Come si può sperare, quindi, che il semplice salvataggio delle banche stabilizzi l’economia di questo paese?
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[ad]Un sintomo dell’inutilità di questa misura di emergenza è giunta quasi in diretta dai mercati che, proprio dopo l’ufficializzazione del manovra, hanno visto tutte le borse europee chiudere in calo, ad eccezione di Francoforte. Tutti gli indizi fanno propendere per l’ipotesi che il testimone sia passato nuovamente nelle mani dell’Italia, che sarà adesso oggetto di nuovi attacchi speculativi.
Questo tipo di interventi a pioggia hanno comportato la probabile uscita della Grecia dall’Unione Europea. Un paese che vale appena il 2% del PIL di tutta la zona euro ha ricevuto in due trance (nel 2011 e nel 2012) 110 e 130 miliardi di euro senza averne alcun beneficio. Anzi, è probabile che l’elevatissimo tasso di interesse a cui i prestiti sono stati concessi peserà in modo determinante sulla capacità di ripresa di questo paese. Servono invece degli interventi strutturali che permettano di ripensare il modello organizzativo dell’Unione, le sue modalità di intervento e probabilmente anche gli obiettivi a lungo termine che le istituzioni europee si prefiggono.