Mitt Romney e la paura della deriva greca

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Il patriottismo economico americano sta diventando un’arma elettorale. Questo se si giudica il duello a distanza in Ohio, eterno toss-up e quindi stato decisivo per le presidenziali. Mitt Romney sa che sulla grande recessione il presidente in carica è estremamente vulnerabile. Non tanto per il suo operato. In verità Ohio Barack Obama vanta il successo di aver salvato Chrysler insieme a migliaia di posti di lavoro grazie ad un prestito, rimborsato al 100% nell’arco di due anni sotto la guida manageriale di una nostra vecchia conoscenza, Sergio Marchionne. Il guaio è che con Chrysler si esauriscono le frecce del suo primo mandato.

[ad]L’ultima argomentazione rimasta è quella della pesante eredità raccolta dall’amministrazione Bush nel 2008 in piena febbre subprime. È un tema se vogliamo ricorrente anche dalle nostre parti: “Volete che tornino quelli che c’erano prima?”. Non essendo nell’ottimismo dell’era Reagan, perché a differenza del 1984 l’America non è né prouder, né stronger e neppure tanto better il confronto col passato è più ostico da far digerire.

Del resto i rilevamenti danno Obama messo maluccio nel sentiment degli americani. In passato si è molto sottolineato il tasso di approvazione dell’operato dell’amministrazione. L’ultimo rilevamento di Gallup dà gli scontenti al 49% contro il 44% di chi bene o male sta con le scelte del presidente.

Non è di per sé una pessima performance per un presidente che debba attraversare la campagna elettorale per strappare il secondo mandato alla Casa Bianca. Nel 2004, vent’anni dopo Reagan, George W. Bush navigava con quei tassi di consenso eppoi con una campagna elettorale azzeccata riuscì a rivincere.

A far scalpore e a drammatizzare il rapporto fra cittadini e presidenza è un altro sondaggio, impersonale se vogliamo e per questo quasi anomalo per le abitudini della politica americana, la direction of country. La media stilata da Realclearpolitics è disarmante da almeno due anni. Oltre il 61% degli americani interpellati, ritiene che gli amati States siano indirizzati sul tracciato sbagliato. A giugno del 2009, pochi mesi dopo l’insediamento Obama era riuscito a rimotivare le sue truppe, tanto da portare il tasso dei contenti al 45% sullo stesso livello dei pessimisti.

Un attimo, dopo il quale la forbice è tornata a divaricarsi come negli ultimi mesi della presidenza Bush. Effetto della battaglia ideologica sulla riforma sanitaria e del prolungamento – involontario – del tunnel della depressione.

Obama nel frattempo non resta passivo a incassare i colpi e a farsi dettare l’agenda comunicativa dal suo competitor. Così, mentre in Ohio Mitt Romney imperversava, il presidente democrat ha annunciato di bloccare migliaia di espulsioni di giovani immigrati clandestini, ma presenti nel territorio a stelle e strisce da più di 10 anni.

La Florida è molto vicina a queste tesi. Gli elettori ispanici sono i principali beneficiari di un provvedimento che “restituisce il sogno” ai suoi più giovani figli. E potrebbero ricambiare portando lo stato da un versante potenziale di toss-up ad un tendente Barack.

Romney, però, ha messo in pista una carta molto suggestiva per l’orgoglio americano: l’eccezionalismo economico. “Con altri 4 anni di Obama faremo la fine dell’Europa e della Grecia” vellicando una delle paure dell’America profonda tanto più guardando i dati su Pil e occupazione.

E anche Gallup oramai dà l’ex governatore del Masachusetts avanti nei sondaggi nazionali di almeno un punto percentuale.