Monti che detta i tempi per far uscire l’Europa dalla spirale critica dei debiti sovrani, “ci vogliono dieci giorni per le misure” rassicura dal Messico in sede di G20. Monti che ha un colloquio con Obama, Hollande, Rajoy. Monti che ancor prima del vertice approfitta di ogni momento libero, pure una partita della nazionale in corso, per ordire col presidente francese una trama condivisa per sganciarsi dalla pura centralità del fiscal compact e del pareggio di bilancio. E in questo parterre non può mancare il Monti tedesco, premiato in terra merkeliana per la sua leadership responsabile.
[ad]Abituati a parametri berlusconiani, di burlesque diplomatico questa fredda contabilità delle molte azioni del premier tecnico starebbero quasi a disegnare un personaggio dalle tante sfaccettature. Un Leonard Zelig se volessimo omaggiare il genio trasformista di Woody Allen, ma significherebbe fare un torto alle camaleontiche doti di adattamento ad ogni alleato della stragrande maggioranza dei governi italiani. Non ultimo, appunto, Berlusconi che inaugurò a partire dal 2001 un decennio della “diplomazia del sorriso” o delle “pacche sulle spalle” passata sotto la feroce lente di ingrandimento dell’editorialista del Corriere della Sera, Sergio Romano.
Fu nella sua stagione, del resto, che l’Italia provò a essere contemporaneamente in tutte le posizioni dello scacchiere: alleata degli Stati Uniti nella guerra preventiva al terrorismo, ma non belligerante; occidentalista e americanista al punto da stringere un rapporto saldissimo con George W. Bush e, ad un tempo, vicina alle istanze autocratiche provenienti dalla Russia di Putin; fedele sostenitrice della dottrina dell’esportazione della democrazia e devota al cicirillo di Gheddafi.
Da questi giochi ossimorici l’Italia col tempo ha finito per subire un isolamento internazionale, peggiorato dall’emergenza spread. Nei giorni del recente novembre 2011 il premier Berlusconi veniva ritenuto l’uomo al comando della nazione più pericolosa d’Europa dalla buona stampa anglosassone.
Decisamente una brutta patina per il nostro paese. Col professore della Bocconi e la sua squadra gli schemi di politica estera sono radicalmente mutati. È la credibilità internazionale del nuovo premier a fare la differenza. I mercati, a dirla tutta vedono la sua azione di governo infragilita dal trimestre appena passato, quello definito su queste pagine di cura “omeopatica” per il paese. Nelle cancellerie europee e in America il successo d’immagine è completo.
Cercato nel G20 da Obama, è con Hollande l’asse chiave per interpretare la proiezione internazionale e il peso attuale dell’Italia. A Parigi, sicuramente Monti serve per rovesciare gli equilibri in Europa e costringere la Germania a fare concessioni sulle misure di rientro dal debito per la Grecia e sull’istituzione degli eurobond.
Ci sarebbe da spendere una vena ottimista per la centralità riconquistata. Tornare a sprizzare credibilità da Stati adulti, dopo aver fatto buona parte dei compiti per casa è il cambio di scenario più evidente. E da questo crinale discende un effetto collaterale di non poco conto: la possibilità di giocare una partita autonoma in Europa, liberando Monti dall’ipoteca di essere soltanto il premier voluto dalla troika Bce-Bundesbank-Merkel.