Città invisibili: Mosca isolata nella sua paura
Il treno dai sedili neri, grandi come poltrone, che porta i turisti e gli uomini d’affari dall’aeroporto di Sheremetyevo fino alla stazione Beloruskaya scorre rapido sui binari; i passeggeri leggono o parlano al telefono, incuranti delle vecchie carrozze verdi e austere dei convogli regionali che, lenti e faticosi, arrancano in direzione opposta.
[ad]Mosca permette che l’occidente si incunei nella sua struttura urbana, ma solo lungo i cuniculi della metro, nei grandi palazzi di vetro o sulle rotaie ghiacciate che, indifferenti, scavano solchi nel cemento e nell’asfalto (Non riuscivo a chiudere occhio la sera prima, gioivo come un bambino. Appoggiata a un pilastro aspettavi, ormai sfiduciata che io potessi arrivare. La sala degli arrivi era deserta, dominavano la plastica di pareti divisorie montate in tutta fretta, i negozi scintillanti di liquori, gli enormi e lampeggianti schermi al plasma).
Mosca è sconforto e solitudine: i palazzi del centro di epoca sovietica, che innalzano pinnacoli e stelle rosse, rimangono indifferenti al passaggio delle signore con il fazzoletto in testa, intente a raggiungere le chiese dalle cupole d’oro, sorte ovunque dopo la caduta del comunismo. Queste donne, per lo più anziane, talvolta giovani e slanciate, si perdono in un altro inganno: il cielo di Mosca, turgido e compatto, non lascia spazio alla salvezza (Nei grandi boulevard, fra gli edifici dalle porte e dalle finestre serrate, nella coda ininterrotta di auto che si avvinghia come un serpente intorno ai parchi, alle fontane e ai palazzi della città, io mi affidavo alla tua mano: l’inferno ha il sapore del miele).
Città di imperi, di poteri chiusi e assoluti, Mosca è il simbolo della transizione che non passa. Le oligarchie hanno saldamente in mano il controllo dell’intero paese, ma sono invisibili, inutile cercare di carpirne i segreti: inutile cercare il confine fra la new economy e i poteri mafiosi. Le finestre annerite della Lukoil, una delle più potenti compagnie petrolifere russe, sono mute e non si aprono sulle strade antistanti. Proteggono l’interno dell’edificio dal resto della città, e la città nelle sue finestre vede rispecchiati i mendicanti, le ragazze con i pantaloni attillati, l’iPod alle orecchie, e nella mente il più patriarcale dei sogni, sposare bene e riccamente (Non resta che rifugiarsi nel sottosuolo, nei cunicoli della metropolitana; il calore degli uomini accalcati e la luce pallida che piove dalle lampade stordiscono, sciolgono le coscienze in un fluido che affratella e inghiotte. Seduta, appoggiavi la testa sul mio petto, ma il battito era quello ritmico e frenetico delle ruote di ferro che sobbalzano sui vuoti fra le rotaie).
Smarrito nei ricordi
Da ogni angolo della stanza
Mi abbraccia la tua assenza
(Gëzim Hajdari)
Anche il Cremlino è chiuso in sé stesso. Ai turisti offre la grandiosità della Piazza Rossa, con le cupole addolcite della Cattedrale di San Basilio – illustrazioni da un libro di favole, le cupole colorate e grandi come meringhe – e il grande centro commerciale che gli sorge proprio di fronte. Il momumento a Lenin, un edificio basso davanti al quale i viaggiatori del Mondo Nord si accalcano per farsi fotografare – con la benedizione dei tour operator – è presidiato da una poliziotta dagli stivali neri che parla al cellulare con lo sguardo basso, intenta a dare piccoli calci a un sasso. Mosca decide dove e in che misura offrire al pubblico la propria storia: severa e arcigna, la Russia non ama parlare di sé. (Nei giardini del Cremlino una banda di fiati suonava melodie popolari per i turisti. Ma a ballare erano anziane coppie russe che nel vestiario e nelle movenze ricordavano la Vienna di inizio secolo. Un ragazzo dai denti rifatti in oro faceva vorticare a ritmo di musica la ragazza con cui – composto – aveva deposto poco prima un mazzo di fiori davanti al monumento ai caduti. I poliziotti avevano alzato la catena per farli passare.“Quant’è una pensione in Russia”, chiedevo io, perso fra il rosso degli edifici, le arcate immense degli aerei, i grandi cumuli bianchi che impiccolivano il cielo e la Vienna di Mahler).
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