Città invisibili: Mosca isolata nella sua paura
[ad]Mosca vive nella paura. Paura del proprio passato, del presente di Putin che è riuscito a ricreare l’assolutismo sovietico. Al posto dell’ideologia proletaria, a dominare è il neo-capitalismo senza regole. Il grande impero sovietico è diventato un immenso mercato: il nero delle miniere e del petrolio viene adesso quotato in borsa, a New York come a Pechino. Mosca vive l’incubo della dissoluzione. Dopo l’Ucraina, il Kazakistan, i paesi baltici e gli stati divenuti indipendenti al crollo dell’URSS, altre nazioni cercano di affrancarsi da Mosca. La Cecenia si è ribellata con attentati sanguinari da cui Mosca si difende non soltanto mandando soldati negli angoli più sperduti dell’impero, ma anche blindando sé stessa. I teatri, i musei, i supermercati, le sale da concerto, sono ormai simili ad aeroporti: metal detector, agenti armati e con l’auricolare presidiano gli ingressi (L’“Italiana” di Mendelsshohn, con la solarità mediterranea del “Salterello” finale, fu accolta da un grande applauso. Ma il boato riempì la sala soltanto al terzo bis, quando l’orchestra cominciò a suonare una melodia di Čajkovski. È questa la grande anima malinconica dei russi, avrei voluto chiederti. Ma un’arcigna maschera ci aveva già separati perché i numeri che avevamo occupato non corrispondevano a quelli sui biglietti).
La periferia appare uguale ovunque. Enormi caseggiati, strade larghe inframmezzate da hotel costosissimi, kitsch, con abbondanti colazioni “vip” e stanze dai letti enormi, cuscini morbidissimi e piume di pavone. I mini-bus guidati da autisti uzbeki e turkmeni cercano di fare concorrenza agli autobus lì dove la metropolitana non arriva. Lungo questi boulevard, le persone non si guardano mai negli occhi (La signora smilza della reception si stupiva che volessi dormire in quell’hotel sovietico, con l’ascensore dalle pareti di cartone e i letti piccolissimi. A te veniva da ridere. Come spiegarle, come spiegarti, che in occidente nel Comunismo abbiamo creduto? Come spiegarle, come spiegarti, che da noi era un’altra cosa, un sogno di libertà? Come spiegarle, come spiegarti che adesso non abbiamo più niente? Neanche una lingua comune per farci capire da chi è nato e cresciuto a est di Trieste?).
Mosca vive isolata dal resto della Russia. I moscoviti guardano quasi con disprezzo chi viene da fuori, dalle profondità remote dell’ancor immenso impero. Esiste, a Mosca, una “buona” borghesia, ma è minoritaria: liberi professionisti, medici, professori universitari, sono come schiacciati fra la massa che vive ben al di sotto della soglia di povertà e la casta degli oligarchi. La “buona” borghesia si concentra tutta nelle grandi città, è forse l’anima di Mosca, ma non ha alcun potere a livello politico. Non conta nulla. (Sull’Arbatskaya, un cane camminava saltellando sulle gambe posteriori, quelle anteriori abbracciavano la gamba del padrone che lo teneva al guinzaglio. Mancavi da un po’. Scesi nel sottoscala del caffè, eri ferma ed estasiata di fronte a una gigantografia murale di un paese dell’Italia meridionale. Sole e case disabitate. A lungo ho vagheggiato i laghi freddi del tuo nord, da sempre sogni gli incendi al tramonto nel mio sud. Le storie di partenze senza ritorni del Molise e dell’Istria erano per te la favola più dolce).
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