“Ne usciremo candidando un noi, non un io”. Nei manuali del marketing applicato alla politica Matteo Renzi sa bene che la strada maestra per costruire una leadership vincente passa per l’inclusione di un vasto ingroup. Si allarga il più possibile la cerchia degli amici per sconfiggere gli avversari semplicemente prosciugando il loro bacino di consensi, di contiguità territoriali e sociali.
[ad]Spesso è una strategia sottile, non dichiarata ma praticata cercando di conciliare partiti molto eterogenei che finisce per usare un lessico vellutato quando si manifestano delle contraddizioni. Quasi un rito della politica, che potrebbe essere definito pre-comunicativo. Il campione di questo modello in Italia, del resto, è stato Romano Prodi che dovette alla sua dote politica di mettere insieme riformisti e masssimalisti senza urtare né gli uni né gli altri le vittorie contro il carismatico Berlusconi.
Il sindaco di Firenze, che si è nutrito intellettualmente con politica e tecniche di comunicazione, è molto più esplicito e il “noi” non lo fa ricavare dai suoi discorsi implicitamente, ma lo pronuncia lui stesso. Una scelta d’obbligo dal momento che al di fuori di Firenze la sua classe dirigente al momento si esaurisce nell’ex candidato alle primarie di Palermo, Davide Faraone.
Peggio ancora, rischia di perdere anche testimonial di peso. Da non sottovalutare ad esempio l’assenza di Edoardo Nesi, premio Strega che partecipò ad entrambe le elezioni della stazione Leopolda. Da parte dello scrittore non sono arrivate dichiarazioni ufficiali, ma è interessante che il suo nome compaia in bella vista sul sito di Italia Futura come relatore dei cantieri sull’economia promossi dall’associazione di Montezemolo a Prato – la città di nascita di Nesi – il prossimo lunedì.
Indicativo in questo senso che dopo aver giocato allo strappo con i “rottamatori” della prima ora alla Civati e alla Serracchiani, Renzi stia lavorando da qualche settimana per ricostituire il gruppo al completo. Questa mattina a Firenze Fiera non è riuscito a intercettare Civati, ma l’europarlamentare friulana sì. Che a Renzi ha concesso di aver superato un po’ della retorica della mera contrapposizione fra giovani e vecchi del Partito Democratico per aprire a tesi a lei decisamente più affini di fusione.
“E’ un’idiozia dire giovani sì, anziani no” ha affermato durante i suoi 42 minuti di intervento il sindaco di Firenze, correggendo il tiro sul lato della comunicazione, lasciando intatto il suo obiettivo politico di vedere D’Alema e Veltroni finire i loro giorni dorati da parlamentari sempiterni. L’ha spiegato ricorrendo all’ausilio di due modelli della Polaroid: l’immagine catturata è la stessa, la rappresentazione cambia.
A cambiare, si capisce, deve essere la rappresentazione del Partito Democratico, ma al momento sta cambiando la sua. Parlare, dopo mesi di demolizione di una certa immagine di paese oltre che di politica, della stessa immagine è un’attenuazione del suo potenziale da innovatore. E, c’è da scommetterci, neppure tanto retributivo nel medio-lungo periodo.
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[ad]L’elettorato italiano non avrà simpatia per la rottamazione, ma questo solo perché vuole fare piazza pulita senza tanti complimenti dei meriti o delle sfumature della generazione dei sessantenni (per attenersi ai soli esponenti di sinistra), che complessivamente ha fallito.
E allora perché questi rallentamenti? La domanda giusta sarebbe un’altra: perché non ufficializza la sua candidatura alle primarie? In assenza di regole ancora non può. Questa è la sua fonte principale e legittima di indecisione e, talvolta, pure di confusione. Ha invocato stamane l’applicazione del regolamento delle primarie del 2005 e del 2007, che non furono esattamente la stessa cosa: aperte alla coalizione nel primo caso, confinate al solo Pd nel secondo. L’elemento condiviso fu il riconoscimento del diritto di voto anche ai simpatizzanti e non solo agli iscritti del partito. E questa sfumatura farebbe la differenza per Renzi.