Lusi arrestato, come ne escono i partiti

senatore lusi

La decisione del Senato di dare l’approvazione all’arresto del senatore Lusi, ex Partito Democratico, per molti aspetti è giunta inaspettata alle orecchie di un popolo ormai si può dire rassegnato alle manovre di impunità della cosiddetta Casta.
[ad]Il caso dell’arresto di Alfonso Papa alla Camera sembrava dovesse essere un caso isolato, e malgrado l’importanza dell’evento, il concomitante salvataggio di Alberto Tedesco al Senato ha fatto pensare più che altro a manovre politiche da parte delle coalizioni per acquisire dei vantaggi sulle controparti agli occhi degli elettori o addirittura ad accordi sottobanco di reciproco salvataggio saltati per via dei franchi tiratori.
Il sentimento antipolitico, in sostanza, è così forte che anche nelle azioni in cui i parlamentari vedono venire meno i propri privilegi diventa quasi automatico pensare ad un malfunzionamento della macchina dell’impunità oppure a mere azioni di calcolo che scaricano su dei capri espiatori l’estremo tentativo della politica di recuperare credibilità dinanzi ad una cittadinanza sempre più delusa e insofferente.

Un’analisi più approfondita della votazione su Lusi consente di disegnare tuttavia un quadro notevolmente differente.

Attuale composizione dei gruppi parlamentari
al Senato della Repubblica

L’avvento del Governo Monti, nel sentire comune, pare aver spazzato via il precedente dominio berlusconiano, ma non bisogna dimenticare che l’attuale Parlamento è ancora quello uscito dalle elezioni politiche del 2008, un Parlamento – soprattutto al Senato – pesantemente orientato a destra, in cui PdL, Lega Nord e CN sono ancora depositari di una maggioranza numerica seppure non più politica.
Per essere analizzata correttamente, la votazione sull’arresto dell’ex tesoriere della Margherita deve essere inserito in un simile contesto e valutata secondo il comportamento dei gruppi parlamentari.

Come riportato da OpenParlamento e dal Termometro, la votazione ha visto prevalere il parere favorevole all’arresto di Lusi con un totale di 155 voti favorevoli, 13 contrari e 1 astenuto. In totale sono stati espressi 169 voti, a cui sono da aggiungere 12 senatori in missione, 21 richiedenti la votazione ma non votanti e ben 118 assenti.

Esito della votazione sull’arresto di Luigi Lusi

Il primo elemento essenziale per la valutazione del voto è naturalmente la natura stessa della votazione, tenutasi a scrutinio palese. Per mancanza di firme, infatti, non è stato raggiunto il quorum necessario per una votazione a scrutinio segreto, e questo fatto, di per sé, è una svolta importante nella storia di questo genere di votazione.
I tentativi del PdL di arrivare ad uno scrutinio segreto si sono infranti sullo scoglio delle venti fime necessarie per richiedere tale modalità di votazione, e questo implica non solo come la linea ipergarantista della formazione di Alfano sia ormai isolata in Parlamento, ma anche come persino al proprio interno – il PdL può dopotutto contare su un gruppo di 127 Senatori – fatichi ad imporsi.

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[ad]L’utilizzo della votazione a scrutinio palese, sottoponendo gli eletti a mostrare la popria opinione in modo evidente e verificabile, viene spesso contestato in quanto pone un vero e proprio vincolo di mandato, da cui i parlamentari sono costituzionalmente esenti. Tale argomentazione, tuttavia, è completamente fuorviante se si pensa che in realtà la difesa dal vincolo di mandato è stata introdotta in Costituzione per tutelare i parlamentari dalle pressioni dei partiti, e non certo da quella dell’opinione pubblica, a cui gli eletti del popolo devono sempre e in prima persona rendere conto.
Considerando poi che il mero funzionamento meccanico delle istituzioni poco si cura delle motivazioni attraverso cui si giunge ad un determinato risultato, si può ben dire che la strada intrapresa dalla votazione sul caso Lusi è stata una vittoria per la trasparenza offerta dalla legislazione del Paese.

Entrando nel dettaglio dei singoli gruppi parlamentari, si nota come l’intera Aula, ad eccezione di CN e PdL, abbia votato a favore dell’arresto, passando dal gruppo dell’IdV presente al gran completo e arrivando ad una Lega Nord che riscopre la propria anima giustizialista, senza trascurare il gruppo del PD di cui Lusi faceva parte fino a non molto tempo fa e quello Per il Terzo Polo di cui fa parte l’ApI, il partito di Rutelli, segretario di quella Margherita di cui Lusi era tesoriere.

PdL e CN hanno scelto una strada piuttosto ambigua, quella dell’uscita dall’aula: non un voto chiaro contro o a favore, non un’astensione che in Senato ha quasi la forza di un voto contrario, ma l’abbandono stesso del voto, con l’effetto di far scendere da un lato la soglia necessaria per l’approvazione della mozione, dall’altro un pericoloso abbassamento dei presenti intorno al limite del numero legale. I pochi esponenti dei due gruppi rimasti in aula si sono poi schierati compattamente contro l’arresto, con l’eccezione di Centaro (CN).

La decisione del PdL, naturalmente, è stata di natura squisitamente politica, al di là delle dichiarazioni di facciata che volevano nell’abbandono dell’aula il desiderio di non entrare in gioco delle vendette interne al centrosinistra.
Il PdL giocava sicuramente in difesa, dopo le fibrillazioni legate all’impossibilità di far passare il voto segreto, sulla propria capacità di esprimere o meno una posizione unitaria: l’uscita dall’aula ha evitato di mostrare eventuali, probabili, spaccature nel partito. Ma è chiaro che quella del PdL era soprattutto una strategia di attacco, per due fattori.
Un primo cavallo di troia poteva consistere nell’abbassamento della soglia al di sotto del numero legale: considerando i senatori in missione, infatti, il numero legale scendeva a 155 membri. Appena 14 in meno rispetto a quelli rimasti in Aula. Su questo numero si consuma una frattura importante tra PdL e la nuova Lega di Maroni: i 16 membri della Lega, infatti, sarebbero stati sufficienti per portare l’Aula sotto la soglia fatidica e rimandare la votazione, ma la formazione padana, con ogni probabilità desiderosa di rifarsi una verginità agli occhi del proprio elettorato, ha in questo caso abbandonato il PdL al proprio destino.

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[ad]Il secondo tentativo di attacco da parte del PdL era naturalmente l’esplosione delle eventuali contraddizioni del centrosinistra, basate sul timore delle possibili dichiarazioni di Lusi ai procuratori che stanno indagando sui movimenti dei fondi della ex-Margherita. Considerato il voto palese e sapendo delle posizioni ultragarantiste del PdL, solo l’assenza di questo partito dall’aula avrebbe potuto con certezza far ricadere la piena responsabilità di un eventuale salvataggio sul centrosinistra, mostrando tanto lo spettacolo di un esponente della Casta salvato dal voto quanto una sorta di prova mediatica di colpevolezza da parte di un centrosinistra che salvava Lusi per non farlo parlare dinanzi ai giudici.

Non è tuttavia andata così. Che sia stato per reale estraneità alle manovre di Lusi, che sia stato per un atteggiamento di facciata, il centrosinsistra e gli ex-Margherita fuoriusciti nel centro hanno votato compattamente a favore dell’arresto, con il risultato di isolare ancora di più il Popolo della Libertà su posizioni di garantismo ormai insostenibili nell’attuale clima mediatico.
La votazione risulta quindi essere stata un boomerang per la formazione berlusconiana, che ne esce provata tanto nei confronti dell’opinione pubblica quanto nei suoi rapporti con l’ex-alleato leghista: meglio sarebbe stato votare a favore dell’arresto con il resto del Parlamento, ma quella, forse, era una prova che Popolo della Libertà sarebbe stata ancora più difficile.