Quattro anni fa l’Islanda è precipitata in una gravissima crisi economica. Giù l’occupazione, giù il Pil, inflazione in ascesa, moneta che ha perso gran parte del suo valore. Settimane di proteste in piazza, un governo costretto a dimettersi, una coalizione che si mette alla guida del paese e oggi traballa pericolosamente. Quattro anni complicati, quattro anni di cambiamenti e all’orizzonte un referendum per approvare una nuova Costituzione scritta dal popolo. In tutto questo c’è chi ha mantenuto il suo posto. È il presidente della Repubblica Ólafur Ragnar Grímsson, in carica dal 1996. Sabato scorso si sono tenute le elezioni presidenziali e lui è stato il più votato. Sarà il quinto mandato consecutivo. Grímsson ha battuto largamente i suoi avversari, su tutti la giornalista Þóra Arnórsdóttir. Secondo i dati forniti domenica mattina dal quotidiano Morgunblaðið e dalla tv RÚV, Grímsson ha ottenuto al 52,7% e la Arnórsdóttir il 33,1%. Molto indietro tutti gli altri. Ari Trausti Guðmundsson all’8,6%; Andrea Jóhanna Ólafsdóttir, Hannes Bjarnason e Herdís Þorgeirsdóttir hanno raccolto le briciole.
[ad]Þóra Arnórsdóttir ha ammesso la sconfitta: “E’ stata una preziosa esperienza” ha commentato, “ora mi prenderò una vacanza”. Non conta di riprovarci tra quattro anni. Si dedicherà alla bambina avuta qualche settimana fa, proprio nel mezzo della campagna elettorale. Esce così di scena un personaggio che ha saputo mettere in difficoltà Grímsson. Questa tornata elettorale, infatti, è stata una novità assoluta per l’Islanda. Storicamente il presidente della Repubblica che si ricandidava vinceva facilmente, a volte senza neppure un avversario da battere. Stavolta invece è stata partita vera. Come hanno evidenziato i sondaggi, a metà maggio il distacco tra i due era minimo: Arnórsdóttir al 43,4%, Grímsson al 41%. Le posizioni si sono invertite a una manciata di settimane dal voto. Grímsson si è messo in testa e ha costantemente guadagnato terreno. Gli ultimi sondaggi lo davano tra il 50 e il 57%, contro il 30-33% per Arnórsdóttir. Numeri sostanzialmente confermati. I tanti, tantissimi indecisi hanno però messo pepe alla corsa elettorale.
È stata una competizione che ha messo di fronte due generazioni diverse. Ólafur Ragnar Grímsson è sulla soglia dei 70 anni. Þóra Arnórsdóttir di anni ne ha invece 37. Praticamente la metà. Due generazioni diverse a confronto ma anche due percorsi diversi. Grímsson è un politico di vecchia data. È stato ministro delle Finanze tra il 1988 e il 1991 e nel 1996 è diventato il quinto presidente nella storia della Repubblica islandese. La Arnórsdóttir è una giornalista televisiva molto apprezzata e conosciuta: ha cominciato a lavorare per il canale privato Stöð 2 e poi è passata al broadcaster nazionale RÚV. Non ha mai fatto politica anche se viene da una famiglia che di politici ne ha prodotti. Ma a distinguere i due candidati è stata soprattutto un’idea diversa della politica e un’idea diversa del ruolo che il presidente della Repubblica deve ricoprire. Due esempi: l’articolo 26 della Costituzione islandese e l’adesione all’Unione europea.
L’Articolo 26 assegna al presidente della Repubblica la facoltà di porre il veto a una legge approvata dal Parlamento e di indire un referendum popolare per permettere agli elettori di esprimersi sull’argomento. Grímsson è stato il primo presidente nella storia islandese a esercitare questo diritto. Lo ha fatto tre volte nel corso degli ultimi otto anni, finendo per dare un’impronta politica al suo operato. Soprattutto si è opposto alla decisione del Parlamento di rimborsare con miliardi di corone i risparmiatori stranieri danneggiati dal crack della Landsbanki. Grímsson questa legge l’ha respinta due volte, due volte ha indetto un referendum e due volte gli islandesi gli hanno dato ragione. Molti deputati hanno parlato esplicitamente di ingerenza. Grímsson non s’è fatto intimidire.
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[ad]Più volte ha ripetuto che l’Articolo 26 rappresenta un caposaldo della democrazia islandese perché consente ai cittadini di avere l’ultima parola se c’è disaccordo con l’operato Parlamento.
Þóra Arnórsdóttir la pensa diversamente non tanto nella teoria (condivide l’idea di uno strumento che dia potere al popolo per bocciare una legge non condivisa) quanto nella pratica: in campagna elettorale ha dichiarati che si deve ricorrere all’Articolo 26 il meno possibile, solo in occasioni particolarissime. Spetta al presidente essere molto cauto nell’indire un referendum e spetta al Parlamento legiferare saggiamente affinché non vengano promulgate leggi controverse. Un atteggiamento che la dice lunga sull’idea che la Arnórsdóttir aveva della carica presidenziale, il cui unico scopo è contribuire all’unità nazionale agendo da attore superpartes. In sostanza il presidente dovrebbe fare meno politica di quanto accaduto negli ultimi anni.
Sull’adesione dell’Islanda all’Unione europea, ad esempio, la giornalista nel corso della campagna elettorale ha ripetuto spesso che schierarsi non è compito del presidente considerato che la carica presidenziale non è una carica politica. Grímsson ha una posizione diversa. Nelle settimane precedenti ha sfruttato le parole della Arnórsdóttir per accusarla di avere un’opinione poco chiara. La sua, invece, è chiarissima. Non lo convince entrare nell’Unione europea, teme la perdita di sovranità e non ha mai perso occasione per ribadirlo. La prassi vuole che il presidente sia fuori dal dibattito politico, ha più volte ammesso Grímsson, ma in un caso come questo il popolo deve conoscere l’opinione del proprio presidente, che con la sua esperienza politica può contribuire al dibattito.
È un presidente che negli ultimi anni ha saputo far parlare di sé, il vecchio Ólafur Ragnar Grímsson. Quando l’Islanda si è ritrovata nella tempesta della crisi finanziaria molti lo hanno dato per spacciato. Lui ha retto, con intelligenza politica. C’è chi aggiunge con spregiudicatezza. Probabile. Resta il fatto che è ancora lì e ci rimarrà.
Solo quattro anni fa il paese era ricco e felice: poi – praticamente da un momento all’altro – il crack finanziario. Un crack che non è stato ancora del tutto superato. Per questo Grímsson ha detto di aver deciso di ricandidarsi. Sedici anni di presidenza sarebbero stati più che sufficienti in normali circostanze ma, ha spiegato, c’è bisogno di una figura che sappia dare stabilità. Se le cose andranno meglio nell’immediato futuro, allora si fa farà da parte senza concludere il suo mandato. Se poi sarà di parola staremo a vedere.
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[ad]Þóra Arnórsdóttir ha provato a spargere più ottimismo nel corso della campagna elettorale affermando che l’isola è sulla strada giusta per uscire dalla crisi: restano problemi ma possono essere risolti, il futuro è positivo. L’Islanda in effetti vede la luce in fondo al tunnel. Ma la ferita fa ancora male. E la rabbia nei confronti dei politici c’è e si sente. Arnórsdóttir ha dato voce a questa richiesta di cambiamento; ha rappresentato tutti coloro che non volevano più sentir più parlare di Grímsson e della vecchia classe dirigente che deve rispondere della crisi del 2008. Una crisi che molti imputano anche a Ólafur Ragnar Grímsson: il presidente avrebbe utilizzato il suo potere per promuovere alcuni istituti di credito. Lui ha sempre respinto le accuse ma resta una figura che in molti considerano troppo vicina alle banche, le principali responsabili del crollo.
I numeri però dicono che la maggioranza degli islandesi ha voluto rinnovargli la fiducia. Grímsson del resto è visto come un presidente che ha restituito il potere al popolo attraverso quell’Articolo 26 che consente ai cittadini di azzerare il voto dei deputati. Ha saputo presentarsi così. Lungimiranza politica e spregiudicatezza. Appunto. Lo spiegava bene settimane fa la politologa Stefanía Óskarsdóttir sul quotidiano Morgunblaðið, quando diceva che negli ultimi anni Grímsson ha giocato il ruolo di chi promuove e difende il potere popolare. E tutto questo lo ha fatto nel bel mezzo della crisi, quando la gente era più arrabbiata e aveva più voglia di partecipare alle decisioni importanti. Gli islandesi questo potere lo hanno conosciuto e ora non vogliono lasciarlo. Anche per questo hanno confermato la fiducia a Ólafur Ragnar Grímsson. Per lui domenica è cominciato il quinto mandato. Nessun presidente era rimasto in carica così a lungo. Ma Grímsson non è mai stato un presidente come gli altri.