Dal 1° luglio 2012 Cipro assume la Presidenza a rotazione del Consiglio dell’Unione Europea, alla fine del semestre danese. Uno sguardo su priorità e sfide, e sull’esperienza degli altri paesi dell’Europa centro-orientale nello stesso ruolo.
[ad]Il Consiglio dell’Unione Europea è l’istituzione comunitaria che riunisce, a seconda dei differenti settori, i ministri competenti dei 27 governi nazionali dell’Unione. Il Consiglio condivide con il Parlamento la funzione legislativa, e si occupa delle materie gestite a livello intergovernativo, come la politica estera e di sicurezza comune. La presidenza a rotazione è stata introdotta per coordinare l’agenda dei lavori e garantire il funzionamento continuo del Consiglio. Negli anni, è diventata sempre più un’opportunità per i diversi paesi per mostrare le proprie capacità organizzative e diplomatiche nella costruzione del consenso, guadagnandone in immagine.
Il Trattato di Lisbona (2009), che istituzionalizza il Consiglio europeo (a livello dei capi di stato e di governo, differenziato dal Consiglio dell’UE a livello dei ministri) e vi associa un Presidente fisso (Herman Van Rompuy), ha depotenziato il ruolo delle diplomazie nazionali e della presidenza. Tuttavia, gli stati non hanno voluto abolirla, anche solo per il suo prestigio e possibilità uniche di visibilità nazionale. Con l’Unione a 27 e più stati membri, passerebbero almeno 14 anni prima che tale opportunità ritorni. Per allora la presidenza semestrale potrebbe anche non esistere più: la lista attualmente stabilita si ferma al 2020.
Priorità comuni e non nazionali
L’esperienza degli ultimi dieci anni ha mostrato che il compito della presidenza è meno immediato di quanto sembri: se essa dà anche agli stati più piccoli la possibilità di influenzare l’agenda del dibattito, può trasformarsi in una trappola. I lavori della presidenza sono considerati gravitare per l’85% su questioni ordinarie di agenda UE; per il 10% sulla gestione degli imprevisti; e infine solo per il 5% sulla priorità specifiche della presidenza semestrale.
Non paga, in questo senso, portare priorità e soluzioni nazionali al tavolo: il progetto francese di Unione per il Mediterraneo del 2008, dopo aver causato divergenze nell’UE è rimasto completamente inerte. Paga piuttosto, come hanno mostrato le esperienze della Svezia (con la direttiva REACH, sulla certificazione dei prodotti chimici) e della Finlandia (con la Northern Dimension Initiative aperta a Russia e stati EFTA), inserire le priorità nazionali nel contesto dell’evoluzione dell’integrazione comunitaria. Infine il Belgio, nel 2010, ha dimostrato che è possibile condurre una buona presidenza senza avere un governo nazionale, quando si ha una forte esperienza e un’ottima amministrazione (oltre a giocare in casa).
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I nuovi stati membri e le presidenze semestrali del Consiglio
[ad]La Polonia, che ha rilevato la presidenza nel 2° semestre 2011, è stato il terzo tra i nuovi stati membri ad assumere la funzione, dopo Slovenia (1° semestre 2008) Repubblica Ceca (1° semestre 2009) e Ungheria (1° semestre 2011). Le presidenze dei nuovi paesi membri non sono state finora particolarmente brillanti, con l’eccezione della Polonia. Un po’ per inesperienza un po’ per ingenuità, gli altri tre paesi sono stati ricordati più per gli scivoloni che per i meriti.
La Slovenia, che avrebbe voluto centrare lo sguardo dell’Unione sui paesi balcanici, si è trovata presa nella tormenta della dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo, e delle diverse politiche degli stati UE sul suo riconoscimento, ed è scivolata su una telefonata in cui Condolezza Rice dettava al ministero degli esteri sloveno la posizione da tenere, per naufragare infine sul primo no irlandese sul trattato di Lisbona.
La Repubblica Ceca è arrivata alla presidenza con un presidente della repubblica, Vaclav Klaus, fieramente euroscettico, ed un governo, quello di Marek Topolanek, che è collassato a metà percorso; un percorso definito da più parti caotico, e che è riuscito a rimettere insieme i cocci solo grazie al buon lavoro del governo tecnico di Jan Fischer nel raggiungere un compromesso in grado di convincere l’Irlanda a votare sì ad un secondo referendum sul trattato di Lisbona.
Quindi è venuta l’Ungheria, la cui presidenza ha avuto forse l’effetto paradossale di concentrare l’attenzione dell’Unione sui pericoli del crescente autoritarismo interno del governo di Viktor Orban, che nel giro di sei mesi ha cercato di passare una legge per mettere sotto controllo i mezzi d’informazione, ha riscritto la Costituzione e si è attirato ulteriori critiche per l’ipocrisia sulle politiche di integrazione dei rom. I magiari ha visto fallire l’obiettivo di estendere l’area Schengen a Romania e Bulgaria, e sono stati infine travolti dalle conseguenze delle rivolte arabe sulla sostenibilità stessa di Schengen.
La presidenza della Polonia, nel secondo semestre 2011, è quella tra i vari nuovi stati membri UE che ha riscosso più successo. Guidata dal governo liberal-conservatore di Donald Tusk, rinnovato durante il mandato stesso della presidenza, Varsavia ha dimostrato di navigare correttamente le acque insidiose delle negoziazioni di Bruxelles, e ha mostrato un euro-ottimismo che ha rinfrancato gli spiriti – anche se ci si chiede quando questo non fosse solo di facciata. Il discorso di Tusk sull’Europa si è molto annacquato a partire dal 2012, e la Polonia non ha fatto passi decisivi verso l’ingresso nell’euro come ci si sarebbe potuti aspettare.
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Le sfide della presidenza cipriota
[ad]Cipro arriva a ricoprire l’incarico della presidenza in un periodo non facile, con poche risorse, e con un bagaglio di pregiudizi da parte di diversi altri stati membri. In particolare, restano insoluti diversi dossier, incluso quello delle relazioni tra Cipro e Turchia – paese candidato all’UE che non riconosce il governo di Nicosìa come legittimo governo di tutta l’isola, e che ha minacciato di bloccare le relazioni con la presidenza del Consiglio UE durante il turno greco-cipriota; Cipro si è fatto conoscere negli ultimi anni a Bruxelles come un “one-issue member-state“, e si attende di sapere se concederà delle aperture nei confronti della comunità turco-cipriota del Nord, territorio ufficialmente parte dell’UE ma dove l’applicazione del diritto comunitario è sospesa, per mancanza di effettiva sovranità. Inoltre, pesano sulla reputazione di Nicosìa la percezione di essere un paradiso fiscale per fondi sospetti di provenienza russa e le esplorazioni minerarie di gas off-shore condotte assieme ad Israele, oltre alla situazione economica sull’orlo della bancarotta. Per quanto riguarda le relazioni con Mosca, l’ambasciatore greco-cipriota a Bruxelles, Kornelios Korneliou, ha dichiarato apertamente: “manteniamo ottime relazioni con la Russia. E vogliamo mantenerle, perché la storia di Cipro con la Russia è differente. Noi non abbiamo mai sofferto nel passato con la Russia.”
A livello europeo, i diplomatici ciprioti saranno soprattutto affaccendati nel costruire un consenso attorno al prossimo bilancio settennale dell’Unione, per il periodo 2014-2021: un compito non facile, sul quale si è già applicata a fondo e con pochi risultati la presidenza danese del primo semestre 2012. Inoltre, i greco-ciprioti dovranno cavarsela tra i problemi quotidiani della crisi dell’eurozona. Per prepararsi, il numero del personale diplomatico cipriota di stanza a Bruxelles è passato da 80 a 200 persone: “ci sentiamo come se ci fosse un intero governo di Cipro basato a Bruxelles”, ha dichiarato Korneliou.
di Davide Denti