Può reggere la Fiat in un contesto come quello attuale, dove in Italia la vendita di auto cola a picco ogni mese che passa? Se l’è chiesto Marchionne, riformulando la domanda a modo suo e dandosi la risposta: se queste condizioni di mercato persistono, è a rischio almeno uno degli stabilimenti Fiat italiani.
[ad]Presentando la nuova versione della 500, prodotta nello stabilimento serbo di Kragujevac, l’Ad Fiat ha lanciato nello stagno il sasso, ritraendo la mano (“noi lavoriamo alla seconda ipotesi”, ovvero indirizzare l’attuale capacità produttiva verso l’America), ma certo le sue affermazioni non faranno dormire tranquilli lavoratori, sindacati e partiti. Rischia, quest’affermazione, di trasformarsi nell’ennesima grana del governo.
Ai tempi del Governo Berlusconi, il ministro Sacconi era apertamente partigiano a favore degli interessi del manager italo-canadese, mentre l’attuale Premier non ha mai espresso commenti fortemente “di parte”.
Marchionne ha quindi elogiato la politica di investimenti della propria gestione, in particolare l’affaire Chrysler, “senza il quale sarebbe stato impossibile mantenere la rete produttiva italiana”. Il mercato americano sarà fondamentale nel medio periodo, perché in Europa, con la guerra dei prezzi che è in atto tra le case automobilistiche, sarà impossibile anche portare la nuova Punto.
[ad]Poi ha precisato anche qualcosa sulle relazioni industriali, a lui tanto care: la parola chiave, in tale ambito, sarà “tranquillità”. Non quella che promette, quella che richiede. Bisognerà avere rapporti tranquilli (sindacati docili, ndr) per rendere gli stabilimenti italiani adatti al mercato europeo: lo standard dovrà essere l’accordo Gm-trade union, che prevede 51 settimane lavorative, sabati obbligatori se necessari e lavoro su tre turni.
Quale può essere il motivo per cui rilasciare dichiarazioni così soffusamente bellicose lo chiarisce in seguito: la sentenza di reintegro per 145 dipendenti iscritti alla Cgil non va giù all’Ad della Fiat, e se l’appello non dovesse essere accolto, ci sarebbe la cassaintegrazione per altrettanti, ma sarebbe comunque un vulnus per l’azienda che – a detta di Marchionne – non fa discriminazioni (“abbiamo assunto una ventina di dipendenti che fino al 2010 avevano la tessera Fiom”).