Chi tocca la RAI muore

Che la televisione pubblica, al pari della giustizia, fosse un tema scottante per l’ex-Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, era cosa nota. Che la disputa sulle nomine del consiglio di amministrazione RAI fosse uno dei temi in grado di ricompattare la vecchia maggioranza PdL-Lega, malgrado gli annunci di Maroni di voler ritirare la Lega da Roma, era un tema dato per assodato. Che si arrivasse ad uno scontro istituzionale tra la seconda e la terza carica della Repubblica Italiana, tuttavia, è stato risvolto inaspettato della vicenda, e sicuramente un tema che non farà che gettare ulteriore discredito su una classe politica ormai ampiamente bocciata dalla popolazione del Paese.

[ad]La composizione del cda è stata gestita, in maniera in qualche modo surreale, esattamente come tutte le altre elezioni in tal senso; come se le rivendicazioni di trasparenza arrivate dalla società civile non fossero mai giunte; come se nel Paese non imperversasse un’ondata di antipolitica senza precedenti; come se, insomma, tutto filasse liscio nella tormentata società italiana.

La spartizione dei seggi è stata effettuata secondo meticolosa osservanza del Manuale Cencelli: quattro seggi tra PdL e Lega Nord, due tra PD e IdV, uno all’UdC.
E così è stato.

Se però si entra nel merito dell’elezione, si scopre come le varie forze politiche, complessivamente incapaci di scardinare metodi e rituali ormai autoreferenziali e privi di valore, hanno però affrontato la delicatissima “questione RAI” in maniera molto diversa tra loro, e proprio in frangenti di questo tipo è possibile cogliere il carattere ed il tratto distintivo dei partiti, quel carattere e quel tratto che inevitabilmente li contraddistinguerebbe anche in un’eventuale azione di governo dopo le sempre più vicine elezioni politiche.

Composizione della
Commissione di Vigilanza RAI

La composizione della commissione, il cui elenco è reperibile a questo link, è solo apparentemente in pareggio tra centrodestra e resto del parlamento: poiché il presidente è di centrosinistra e per prassi questo non vota, il centrodestra berlusconiano si ritrova a controllare la commissione, e ha ampiamente sfruttato tale controllo per condizionare l’andamento e l’esito delle elezioni del cda RAI.

L’elezione dei membri del cda, infatti, è avvenuta solo il 5 luglio alla quinta votazione, dopo che i precedenti tentativi del 26 giugno, 3 luglio (due votazioni) e 4 luglio si erano risolti con un nulla di fatto.

La prima votazione si è conclusa con un nulla di fatto a causa della mancanza del numero legale, causata dall’assenza di tutto il centrodestra e di alcuni esponenti del centrosinistra; spicca, in questa votazione, la posizione del radicale Beltrandi, già in passato agli onori dela cronaca per le sue posizioni favorevoli al centrodestra, che pur presente in commissione ha rifiutato di partecipare alla votazione in quanto ancora una volta non si è dato corso a iniziative procedurali realmente innovative sul piano della trasparenza volte a superare la logica della lottizzazione partitica.

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[ad]La seconda e la terza votazione sono quelle che hanno fatto scattare un vero e proprio campanello d’allarme nel centrodestra, che ha visto la propria egemonia in commissione pericolosamente vacillante.
Nel corso della seconda votazione, infatti, vi sono stati ben due colpi di scena. Il primo è stato il raggiungimento di 5 voti da parte della candidata del Terzo Polo Nardelli, laddove il candidato del centrodestra Pilati si arrestava a quattro. Clamorosamente, il centrodestra riusciva a portare alla soglie dell’elezione solo tre candidati contro i quattro previsti, rischiando quindi di perdere la maggioranza al cda. Il secondo colpo di scena è consistito invece in un voto a Verri, laddove il candidato del centrodestra si chiamava Verro. La situazione quindi vedeva cinque voti ciascuno per Luisa Todini (cdx), Flavia Nardelli (tp), Benedetta Tobagi (csx), Rodolfo De Laurentiis (tp), Guglielmo Rositani (cdx) e Gherardo Colombo (csx), quattro voti ciascuno per Antonio Verro (cdx) e Antonio Pilati (cdx), mentre un voto risultava attribuito a Verri.
Poiché i membri del cda RAI, da regolamento, devono essere eletti tutti assieme e si era verificato un pareggio tra due candidati del centrodestra a pari merito a quattro voti, la votazione, come richiesto dal centrodestra, sarebbe stata da annullare. Con il senno di poi, diventa semplice vedere nel voto a Verri un diretto tentativo di invalidare la votazione, forse perché un risultato sfavorevole al centrodestra era nell’aria.
Falliti infatti i tentativi del centrosinistra di attribuire a Verro il voto assegnato a Verri, il presidente della commissione Zavoli chiamava una nuova votazione, conclusasi con il seguente risultato: cinque voti per Luisa Todini (cdx), Benedetta Tobagi (csx), Rodolfo De Laurentiis (tp), Guglielmo Rositani (cdx), Antonio Verro (cdx) e Gherardo Colombo (csx); quattro voti per Flavia Nardelli (tp) e Antonio Pilati (cdx) e una scheda bianca. Votazione ancora una volta senza esito.
Esplodeva a questo punto la paura nel centrodestra, evidentemente alle prese con un dissidente. Poiché, tuttavia, nel corso della terza votazione questo ribelle aveva votato in bianco e non aveva dato preferenza alla Nardelli, era chiaro che restavano margini di trattativa.

Si giungeva così al 4 luglio e alla quarta votazione, risoltasi con un nulla di fatto ancora una volta per mancanza del numero legale. Sono rapidamente montate le polemiche intorno al radicale Beltrandi, che per la seconda volta non si è presentato alla votazione ma che, in questo caso, è risultato determinante nel mancato raggiungimento del numero legale: sono stati infatti venti i partecipanti alla votazione contro i ventuno richiesti.
Montava tuttavia nel frattempo il “caso Amato”: il PdL era infatti riuscito a individuare in Paolo Amato il dissidente delle votazioni del 3 luglio, e con una mossa senza precedenti operava per rimuoverlo dalla Commissione di Vigilanza del Parlamento.

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[ad]Il 12 giugno 2012, infatti, il senatore Viespoli di CN scriveva al Presidente del Senato Schifani e a quello della Camera Fini sottolineando come, per il principio del pluralismo, anche il gruppo CN dovesse avere un rappresentante in Commissione di Vigilanza RAI; per ragioni di quote, tale rappresentante sarebbe dovuto entrare in sostituzione di un membro del PdL. La lettera è rimasta ignorata per circa un mese, ma improvvisamente, il tre di luglio, il Presidente del Senato Schifani contattava il capogruppo PdL Gasparri per invitarlo a segnalare il nome del senatore PdL che avrebbe lasciato la Commissione di Vigilanza. Viene fatto il nome di Amato, che lascia quindi la Commissione per essere sostituito dallo stesso Viespoli.

Nel corso dell’ultima votazione, del 5 luglio, si arrivava quindi all’elezione del cda, un’elezione a questo punto senza alcuna conseguenza nefasta per il PdL, che vedeva in salvo la propria maggioranza nel cda RAI.

È naturalmente montata la polemica intorno alla decisione di Schifani di procedere alla sostituzione di Amato, polemica alimentata dal Presidente della Camera Gianfranco Fini e che ha portato ad uno scontro istituzionale tra le due cariche dello Stato.
Se da un lato è vero che era stato lo stesso Fini a sollecitare una sostituzione urgente di Amato, è innegabile che la tempistica dell’operazione, per quanto ampiamente nei poteri del Presidente del Senato, suoni quantomeno sospetta, ed evidenzia le vaste differenze tra centrodestra e centrosinistra in tema di RAI.

Da un lato infatti l’Italia dei Valori ha deciso di non presentare propri candidati per sfuggire alla logica spartitoria del cda RAI, mentre il Partito Democratico ha deciso di consultare associazioni della società civile e sostenere i nominativi da esse scelti. Si può ragionare sull’opportunità e sull’etica delle due scelte effettuate dai due partiti dell’ala progressista, ma non sfugge la differenza che in entrambi i casi divide simili atteggiamenti da quello del duo PdL-Lega.
Oltre ad aver proposto e sostenuto nomi frutto di mera scelta politica, infatti, il PdL ha persino fatto chiamare in causa una carica in teoria super partes per blindare un risultato che rischiava di essere in bilico fino all’ultimo.

Un atteggiamento che sicuramente non giova all’immagine del partito in un periodo di massima attenzione al tema della trasparenza, ma ciò che fa veramente riflettere è la decisione e la rapidità con cui la formazione ha messo in campo la propria strategia, incurante delle conseguenze a livello di immagine.
Quando i temi toccati sono così scottanti per le vicende personali e aziendali del Cavaliere il PdL rivela ancora una volta il ferreo controllo che Berlusconi possiede ancora sul suo partito, calando la maschera moderata che il segretariato di Alfano ed il sostegno al Governo Monti tentano di mettergli. Berlusconi è ancora il dominus del PdL, il quale è a sua volta pronto a votare o bloccare qualsiasi provvedimento che dovesse rispettivamente piacere o dispiacere all’ex-Presidente del Consiglio.
Chi tocca la RAI muore. Era vero con Berlusconi al Governo, è vero ancora oggi.