Sottoscrivo questo articolo di Lettera 43:
Quando stamattina mi han passato il link a questo articolo del Sole24 “il tablet è meglio della maestra” ero già psicologicamente pronta a quello che mi aspettava: una incazzatura. Perché è triste dirlo, ma purtroppo è così: quasi il 90% degli articoli che parlano di scuola e didattica a noi insegnanti fanno questo effetto, una solenne arrabbiatura che ti prende la bocca dello stomaco e cerchi per ore di farti passare. E’ un triste problema di questo paese il fatto che il mondo della scuola e la didattica in generale sono raccontati al pubblico malissimo: si va dal catastrofismo un tanto al chilo, per cui pare che la scuola sia solo sfascio – e che tutte le scuole d’Italia siano ormai edifici semidistrutti in cui docenti poco aggiornati e demotivati si aggirano come zombie – alle favolette della buona notte, per cui i problemi strutturali esistenti del sistema possono essere ridotti disseminando in classe qualche manciata di tablet o di lavagne elettroniche.
Questo articolo del Sole ne è l’ennesima dimostrazione, fin dal titolo. Appiccicato a casaccio, tanto per cominciare. Non si sa perché, infatti, si tiri in ballo “la maestra”: l’argomento dovrebbe essere una ricerca dell’Università del Massachusset relativa all’uso dei tablet da parte dei bambini, ma dice semplicemente che lasciare ad un bimbo in mano un tablet è sicuramente stimolarne la creatività più che abbandonarlo davanti alla tv, usata come baby sitter. La maestra, quindi, non c’entra una cippa, perché nelle nostre scuole – per quanto disastrate, per carità – non capita che i bambini vengano abbandonati da soli per ore davanti alla tv: quello, casomai, capita a casa, quando i genitori non possono permettersi una baby sitter o lasciano i bambini a pascolare davanti agli schermi perché i genitori sono troppo occupati o stanchi per giocare con loro.
Quella dell’Università del Massachusset sarà sicuramente una indagine molto approfondita e completa, perché se si limitasse a dire quello che le viene attribuito nell’articolo sarebbe la scoperta dell’acqua calda: la tv è un mezzo passivo, con cui l’utente (grande o piccolo) non può interagire veramente. E’ un mezzo chiuso in cui le informazioni calano dall’alto e possono essere solo recepite: l’equivalente di una lezione frontale a scuola, in cui il professore spiega e gli alunni prendono appunti, se vogliono, e se non hanno voglia possono solo distrarsi e guardare fuori dalla finestra.
Il tablet, invece, permette all’utente, grande o piccino, di interagire con i contenuti, specie se le app sono progettate come programmi di gioco per i più piccoli. Niente di nuovo e niente di diverso da quello che gli insegnanti fanno da sempre, quando, per affrontare determinati argomenti in classe, suscitano dibattiti, inventano giochi, etc. Quindi, anche qua, il tablet è meglio della maestra una cippa: una brava maestra usa le app del tablet, ma spesso non ne ha nemmeno bisogno perché negli anni si è costruita tutta una serie di materiali che magari sono cartacei ma hanno la medesima funzione: interessare gli alunni e farli interagire.
Resta l’entusiasmo immotivato che si coglie all’inizio dell’articolo. Questa idea che i bambini nativi digitali, per una sorta di capacità magica, messi davanti ad un tablet e lasciati liberi, improvvisamente si rivelino tutti dei piccoli geni, sappiano autonomamente navigare in internet, trovare app educative ed imparare ad usarle. Ecco, una cosa vorrei spiegare al giornalista: no. Esistono dei bambini che effettivamente a due, cinque, sei anni sanno smanettare smartphone e tablet con una abilità ed una velocità da far impallidire noi adulti. Esattamente come i nostri genitori impallidivano quando vedevano la velocità con cui noi da giovani digitavamo sms. Ma in genere i nativi digitali così veloci e smaliziati, se si va ad indagare, sono figli di genitori digitalmente avanzati, che fin da piccoli gli han dato lo smartphone o il tablet al posto del ciuccio. Gli altri magari sono velocissimi ad imparare come aprire una app o scaricarla, ma poi non sanno usarla, o scaricano solo quelle dei giochini stupidi e per chattare su Fb con gli amici.
Perché il problema dell’uso del tablet sta sempre tutto là. I ragazzi possono essere veloci, ma la velocità non è sinonimo di consapevolezza. Il seienne lasciato a giocherellare con il tablet non andrà automaticamente sulla app didattica per imparare a sentire i concerti della Filarmonica di New York, o quella per ricreare sullo schermo i quadri di Picasso. Ci andrà solo se vicino avrà un adulto che gli dice che quella app esiste, e lo stimola a giocarci. Le app sono proprio uguali uguali ai giochi didattici di quando eravamo piccoli noi, o ai giochi in generale. Se nessuno in famiglia o nella cerchia degli amici ti insegna a giocare a campanon o andare in bicicletta non lo impari solo perché ti mettono un gessetto fra le mani o fra le gambe una bici.
Quindi, per piacere, smettiamola con questa retorica che i bambini “digitali” sono naturalmente pronti a usare tablet e nuovi strumenti e che con quelli imparano da soli, basta metterglieli in mano e la natura fa il suo corso. E’ una solenne bufala, che serve spesso agli adulti troppo impegnati per sgravarsi la coscienza, perché quando han regalato ai figli il tablet pensano di aver esaurito così il loro compito educativo e formativo.
Il tablet non è meglio della maestra, né della mamma o della baby sitter. Il tablet è un coso, che fa cose se qualche essere umano ce le mette dentro e ti spiega come usarle per ottenere il risultato che vuoi, sia esso divertirti o imparare. Altrimenti ciao.
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