Lettonia, la minoranza russa è discriminata. Ma bisogna pur difendersi
[ad]Secondo il capo della Polizia di sicurezza lettone, Jānis Reiniks, intervistato durante un’inchiesta della televisione nazionale, dietro a Vladimirs Lindermans ci sarebbero finanziatori provenienti sia dall’area russofona moderata lettone che da associazioni russe vicine al Cremlino. Che la politica estera russa sia interessata a (ri)mettere le mani sul Baltico non è un segreto per nessuno. Come non lo sono i metodi (si è visto in Ucraina, con la diffusione di passaporti russi alla minoranza russofona della Crimea, o in Georgia con la minoranza russa dell’Ossezia, dove operano molte Ong russe). La conquista, oggi, lungi dall’applicare metodi militari, passa dai media: un intreccio di interessi lega magnati della televisione privata lettone al Cremlino. Jānis Kažociņš, direttore dell’Ufficio per la difesa della Costituzione lettone ha poi recentemente affermato: “Il sistema dei flussi di denaro a sostegno delle organizzazioni non governative russe all’estero è regolato dalle Ambasciate del Cremlino“.
Quanto basta per mettere sul chi va là la Lettonia, la cui legge sulla cittadinanza rappresenta una timida difesa dall’ingerenza russa. La lotta per i diritti di una minoranza (lotta legittima, poiché quella lettone è effettivamente e giuridicamente una discriminazione) quando si mischia a interessi geopolitici, crea confusione. I lettoni hanno diritto a difendere la propria libertà e autonomia nazionale dopo più di un secolo di dominio russo. Ed è comprensibile, viste le persecuzioni che hanno subito, che ciò avvenga anche tramite leggi discriminatorie che è necessario cambiare. Ma se l’interesse effettivo di gente come Lindermans è riportare il Paese nella sfera d’influenza di Mosca, anziché tutelare la minoranza di cui è parte, allora l’umanitarismo deve lasciar posto al buon senso. I lettoni hanno il diritto di difendersi dall’ingerenza russa e in questo andrebbero aiutati dall’Europa, non biasimati.
di Matteo Zola