“Ucraina, terra di confine”. Intervista a Max Di Pasquale
Ecco, la Crimea, sembra avere una storia a sé: dalle colonie genovesi di Caffa, alla guerra che vide Fenton e Tolstoj, fino alla Conferenza di Yalta, è sempre stato un crocevia della Storia. E’ stata fino al ’54 territorio russo,. Come la penisola si relaziona con il resto del Paese?
[ad]E’ una questione molto complessa. La Crimea era popolata dai tatari che subirono una feroce deportazione in Kazakhstan. La regione venne russificata e oggi è popolata da persone russe e di lingua russa. Si respira un’aria di grandeur per via del retaggio zarista e sovietico che qui si trasforma anche in nostalgia per il passato regime. Dal 1954 è stata assegnata all’Ucraina ma gode tutt’oggi di uno statuto speciale. Oggi il vero problema è la flotta dell’Armata Rossa ancorata nel porto di Sebastopoli. La più grande flotta russa ancorata in un porto ucraino grazie a una concessione che Yanuchovyc ha rinnovato per compiacere il Cremlino. Se mai dovesse scoppiare una guerra tra Russia e Ucraina, è in Crimea che avrebbe origine.
In Crimea c’è anche una piccola comunità italiana. Cosa ci fa lì, e come vive?
Arrivarono in Crimea a metà Ottocento quando Caterina II di Russia propose terre da coltivare e lavoro. L’idea russa era quella di popolare la regione con genti cattoliche ed europee per bilanciare la presenza dei tatari islamizzati. Poi è venuto il Novecento che ha scritto una pagina di storia tragica e misconosciuta dello stalinismo. Nel 1942, un anno prima dei tatari, gli italiani di Crimea furono deportati in Kazakhstan. Quando Kerch, città che ospitava la più grande comunità italiana in Crimea, fu “liberata” dai sovietici, gli italiani furono accusati di collaborazionismo coi nazisti. In molti morirono durante il viaggio verso l’Asia centrale.
Da come la descrivi l’identità ucraina sembra una somma di identità, è corretto? E come questo si traduce nella politica e nella società? Qual’è il rapporto con le minoranze etniche?
L’Ucraina è sicuramente un Paese multiculturale (polacchi, ebrei, tatari, russi) e ha subito molte dominazioni che hanno inciso sulla cultura locale: da quella polacca a quella asburgica e poi russa. La gente è mite e tollerante ma la politica usa le minoranze per un divide et impera che poco ha a che fare con la realtà sociale. La minoranza più forte, oggi, è quella russa. Molti di più sono i russofoni.
Come vedi l’Ucraina fra vent’anni?
Posso dire quello che auspico, ovvero che l’Ucraina sia sempre più vicina all’Europa. Visto quel che accade oggi però è improbabile. L’Ucraina è come un pendolo che oscilla fra oriente e occidente, bisognerà vedere verso che parte oscillerà in futuro. La sfera geopolitica russa non può esistere senza l’Ucraina, considerata una sorte di “orto di casa” del Cremlino. Il politico americano Zbigniew Brzezinski ha detto che “senza l’Ucraina la Russia non può essere un impero”. E’ impossibile pensare che l’Ucraina non abbia rapporti con la Russia in futuro ma sarà la natura di quel rapporto a fare la differenza.
Scrive nella sua postfzione Oxana Pachlovska, docente alla Sapienza di Roma, come il libro di Di Pasquale riesca a penetrare ”le contraddizioni, i traumi mai risolti, le memorie del passato sempre vive. Un coacervo di grandi potenzialità e enorme fragilità”. Potenzialità e fragilità: una metafora dell’Europa tutta, in fondo, che vive oggi una fase di crisi ma che potrà tornare unita, forte e pacifica grazie al contributo dei Paesi della sua pars orientalis. Ucraina compresa.
di Matteo Zola