“Ucraina, terra di confine”. Intervista a Max Di Pasquale

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Massimiliano Di Pasquale è scrittore e reporter. Lo incontrammo all’uscita di In Ucraina, immagini per un diario, libro fotografico che ha preceduto, di fatto, questo Ucraina, terra di confine (Il Sirente 2012, 250 pp, euro 15) vero e proprio diario di viaggio. Anzi, qualcosa di più. Il libro infatti è un ibrido tra diversi generi: giornalistico, saggistico, letterario. La prosa è degna del romanzo. La contestualizzazione socio-politica non ha nulla da invidiare al saggio. La freschezza del resoconto è quella del migliore dei reportage.  Un libro di confine, insomma. Qualsiasi appassionato di Europa orientale, sensibile alla cultura ma desideroso di essere informato, non può che restare stupito dalla fattura di questo libro. Un’ottima guida, anche, da leggere prima di un viaggio (consapevole) per quella terra al confine tra oriente e occidente. Qui di seguito un’intervista all’autore.

[ad]Anzitutto definiamo il tuo libro: un po’ guida di viaggio, un po’ reportage giornalistico, un po’ saggio storico-sociale. Da cosa nasce questo libro e qual’è la tradizione letteraria cui fa riferimento?

Il libro nasce dall’esigenza di far conoscere l’Ucraina al pubblico italiano. Si tratta di un Paese sconosciuto del quale è stato scritto poco, anche a livello internazionale. L’idea è del 2007 e il libro si compone dei diversi viaggi che ho compiuto in lungo e in largo per il Paese. Non pretendo di agganciarmi a una tradizione letteraria, sicuramente questo libro risente dell’amore per la grande letteratura di viaggio, da Chatwin a Kapuściński, e lo spirito del mio libro è senz’altro quello anglosassone: un ibrido tra diario di viaggio, saggio, reportage. In Italia si predilige invece il taglio accademico, molto più rigido.

Fai molti riferimenti alla letteratura e alla cultura ucraina, ne deriva l’impressione di un grande Paese europeo. Eppure, nel titolo al tuo libro, la definisci “terra di confine”. Dove si pone, metaforicamente e geograficamente, questo confine? E cosa divide?

 Il confine è mobile. Ancora oggi l’Ucraina si trova a metà strada tra la Russia e l’Europa. Tradizionalmente il fiume Dnepr è preso come limes tra oriente e occidente ma la geografia non può dare tutte le risposte. Se guardiamo al processo politico vediamo come non esiste più una netta separazione tra est e ovest: i partiti filo-occidentali prendono voti anche nelle zone tradizionalmente ritenute di cultura russa. A livello iconografico il confine si pone in Ucraina centrale, dove la grandeur sovietica resiste nelle enormi statue di Lenin. Ai tempi della Rivoluzione arancione, il filosofo André Gluksmann definì Kiev “la capitale europea”, ma molte cose sono cambiate da allora.

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Il tuo libro è anche un’ottima guida alla storia recente del Paese, e ciò lo rende un prezioso documento giornalistico. Parli diffusamente della Rivoluzione arancione. Cos’è e cosa ne è rimasto oggi?

La Rivoluzione arancione è stata una grande espressione di libertà. Ne è nata una coalizione di governo che per incapacità dei leader, Viktor Yushenko e Julia Timoshenko, non ha mantenuto le promesse di democrazia che la Rivoluzione chiedeva. Il Paese ha però dimostrato di avere gli anticorpi necessari per non [ad]essere una seconda Bielorussia. Il fallimento della Rivoluzione ha lasciato molta disillusione ma la restaurazione dell’ancien régime di Yanuchovyc non porterà comunque il Paese verso un autoritarismo di marca lukashenkiana perché nella popolazione si è ormai radicata l’idea della libertà e la consapevolezza di poterla ottenere. Il fallimento della Rivoluzione arancione non è il fallimento delle istanze democratiche, e poi occorre ricordare che furono in molti a mettere il bastone tra le ruote a Yushenko e Timoshenko.

Che genere di “bastoni tra le ruote”?

Anzitutto il conflitto fra i due leader, esasperato dall’architettura costituzionale sorta insieme alla Rivoluzione che però non è un prodotto della Rivoluzione, ma di Kuchma, padre-padrone dell’Ucraina. Delfino di Kuchma era Viktor Yanuchovyc la cui elezione a presidente fu contestata, appunto, da quella che fu detta la Rivoluzione arancione. Prima di concedere la ripetizione del voto Kuchma, allora ancora in carica, impose una Costituzione che genera un costante conflitto di poteri tra Primo ministro e Presidente. Il conflitto di poteri ha aggravato il conflitto personale tra Yushenko e Timoshenko. Quella Costituzione nasce quindi da una imposizione del vecchio leader, in un contesto sociale di estrema tensione: c’era un clima da guerra civile e a Kiev vennero fatti affluire dei minatori del Donbas per “mettere un freno” alle manifestazioni democratiche. Le cose poi si risolsero pacificamente ma il prezzo da pagare fu l’instabilità politica. Altro problema fu la guerra del gas, con cui la Russia impedì l’avvicinamento dell’Ucraina all’Europa che, da parte sua, non fece nulla per evitarlo.

C’è chi dice che la Rivoluzione arancione fu solo una manovra della Cia…

Rispondo che Yanuchovyc, attuale presidente dell’Ucraina, dichiaratamente filo-russo, si avvalse degli spin doctor americani. Il fatto è che in Italia buona parte dell’informazione e della politica sono filo-russe. E non si capisce perché, o forse sì se guardiamo agli interessi di Eni e Gazprom. La stessa Gazprom che offrì a Romano Prodi un posto da presidente dopo aver assunto già l’ex-cancelliere tedesco Schroeder. Prodi ebbe il buon gusto di rifiutare ma è sintomatico dei rapporti tra Russia e Italia.  Prodi, già presidente della Commissione europea, certo non fu tenero con le ambizioni ucraine quando disse che le possibilità dell’Ucraina di entrare nell’Unione Europea erano le stesse della Nuova Zelanda.

Tornando al tuo libro, le città e i luoghi descritti sembrano tutti di grande bellezza. Ma a descriverli sono gli occhi dell’amante o quelli imparziali del reporter?

Non penso che un reporter sia imparziale. Il fascino dei luoghi entra nella persona che scrive. Nel mio libro ho descritto però anche lo squallore. Poi c’è chi può trovare affascinante lo squallore… Ho cercato di rendere la realtà ucraina per quella è, descrivendone le città e l’ambiente. Ci sono posti come la Crimea di assoluta bellezza.

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Ecco, la Crimea, sembra avere una storia a sé: dalle colonie genovesi di Caffa, alla guerra che vide Fenton e Tolstoj, fino alla Conferenza di Yalta, è sempre stato un crocevia della Storia. E’ stata fino al ’54 territorio russo,. Come la penisola si relaziona con il resto del Paese?

[ad]E’ una questione molto complessa. La Crimea era popolata dai tatari che subirono una feroce deportazione in Kazakhstan. La regione venne russificata e oggi è popolata da persone russe e di lingua russa. Si respira un’aria di grandeur per via del retaggio zarista e sovietico che qui si trasforma anche in nostalgia per il passato regime. Dal 1954 è stata assegnata all’Ucraina ma gode tutt’oggi di uno statuto speciale. Oggi il vero problema è la flotta dell’Armata Rossa ancorata nel porto di Sebastopoli. La più grande flotta russa ancorata in un porto ucraino grazie a una concessione che Yanuchovyc ha rinnovato per compiacere il Cremlino. Se mai dovesse scoppiare una guerra tra Russia e Ucraina, è in Crimea che avrebbe origine.

In Crimea c’è anche una piccola comunità italiana. Cosa ci fa lì, e come vive?

Arrivarono in Crimea a metà Ottocento quando Caterina II di Russia propose terre da coltivare e lavoro. L’idea russa era quella di popolare la regione con genti cattoliche ed europee per bilanciare la presenza dei tatari islamizzati. Poi è venuto il Novecento che ha scritto una pagina di storia tragica e misconosciuta dello stalinismo. Nel 1942, un anno prima dei tatari, gli italiani di Crimea furono deportati in Kazakhstan. Quando Kerch, città che ospitava la più grande comunità italiana in Crimea, fu “liberata” dai sovietici, gli italiani furono accusati di collaborazionismo coi nazisti. In molti morirono durante il viaggio verso l’Asia centrale.

Da come la descrivi l’identità ucraina sembra una somma di identità, è corretto? E come questo si traduce nella politica e nella società? Qual’è il rapporto con le minoranze etniche?

L’Ucraina è sicuramente un Paese multiculturale (polacchi, ebrei, tatari, russi) e ha subito molte dominazioni che hanno inciso sulla cultura locale: da quella polacca a quella asburgica e poi russa. La gente è mite e tollerante ma la politica usa le minoranze per un divide et impera che poco ha a che fare con la realtà sociale. La minoranza più forte, oggi, è quella russa. Molti di più sono i russofoni.

Come vedi l’Ucraina fra vent’anni?

Posso dire quello che auspico, ovvero che l’Ucraina sia sempre più vicina all’Europa. Visto quel che accade oggi però è improbabile. L’Ucraina è come un pendolo che oscilla fra oriente e occidente, bisognerà vedere verso che parte oscillerà in futuro. La sfera geopolitica russa non può esistere senza l’Ucraina, considerata una sorte di “orto di casa” del Cremlino. Il politico americano Zbigniew Brzezinski ha detto che “senza l’Ucraina la Russia non può essere un impero”. E’ impossibile pensare che l’Ucraina non abbia rapporti con la Russia in futuro ma sarà la natura di quel rapporto a fare la differenza.

Scrive nella sua postfzione Oxana Pachlovska, docente alla Sapienza di Roma, come il libro di Di Pasquale riesca a penetrare ”le contraddizioni, i traumi mai risolti, le memorie del passato sempre vive. Un coacervo di grandi potenzialità e enorme fragilità”. Potenzialità e fragilità: una metafora dell’Europa tutta, in fondo, che vive oggi una fase di crisi ma che potrà tornare unita, forte e pacifica grazie al contributo dei Paesi della sua pars orientalis. Ucraina compresa.

Da EastJournal

di Matteo Zola