Francesco Saverio Romano, ex ministro dell’Agricoltura, leader dei “responsabili” che nel settembre 2010 consentirono a Berlusconi di superare indenne la fuoriuscita dei finiani dal Pdl, è stato oggi assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il Giudice per l’udienza preliminare ha ritenuto infatti insussistenti le prove a suo carico.
[ad]Per l’accusa, rappresentata dal pm Di Matteo, il politico era praticamente espressione stessa della mafia locali, da lui non solo accettata, ma cercata, al fine di crearsi una carriera politica rapida come quella che ha in effetti avuto. Nel 2001, secondo l’accusa, fu proprio la mafia ad assicurargli il seggio.
Sul suo nome si era a suo tempo consumata una profonda nei rapporti ferita tra Pdl e Lega Nord, allorché il partito allora guidato da Bossi approvò insieme al Pd ed a praticamente tutto il resto del Parlamento (esclusa l’Udc, dalla quale lo stesso proveniva) l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni, richiesta dal Gip di Palermo. Sia in Giunta che in Aula l’autorizzazione passò con i fondamentali voti del Carroccio. Ancor prima, quando passò alla maggioranza ed il Cavaliere lo propose per il Ministero dell’Agricoltura, il Presidente Napolitano individuò motivi d’inopportunità alla sua nomina, salvo poi però farlo giurare sulla Costituzione.
Oggi, il commento dell’ex-ministro è stato naturalmente di giubilo, ma anche di amarezza per il lungo tempo in cui il suo nome era stato accostato a Cosa Nostra. Lentezze che ha denunciato anche il suo avvocato, Raffaele Bonsignore, che ad AdnKronos ha affermato “ci vogliono in Italia dieci anni per una sentenza di primo grado. E’ un fatto di inciviltà. L’onorevole Romano è stato indagato per otto anni e ha dovuto aspettare dieci anni per la sentenza”. La sentenza lascia tra l’altro l’amaro in bocca agli avvocati, perché l’insussistenza di prove non significa che il fatto non sia avvenuto, e questo è stato rimarcato anche dal Pm Di Matteo, che prima di fare ulteriori commenti aspetterà di leggere le motivazioni.
Dal PdL sono piovute, come c’era da aspettarsi, critiche non solo all’operato della magistratura inquirente, ma anche del resto del sistema politico, che non l’ha difeso e l’ha consegnato alla gogna mediatica.